La Gazzetta dello Sport, 10 aprile 2016
Quando Pelé conquistò il mondo contro il parere dello psicologo
Se fosse stato per il senhor Joao Carvalhaes, di professione psicologo, il mondo non avrebbe mai applaudito Pelé e Garrincha. E se non fosse stato per l’insistenza di Didì, Nilton Santos e Bellini, i tre giocatori più rappresentativi della Seleçao 1958, il commissario tecnico Vicente Feola sarebbe passato alla storia non come il primo a portare il titolo mondiale in Brasile, ma come l’uomo che non aveva saputo riconoscere il talento di due dei più grandi campioni di sempre. Le stranezze del destino s’intrecciano e raccontano una vicenda di gloria. Ma dietro, nell’ombra, c’è un segreto, spesso protetto dagli omissis dei protagonisti o dai vergognosi «non ricordo» di chi doveva decidere. Perché la verità, se vere sono (e lo sono!) le formazioni del c.t. Feola per le prime due esibizioni mondiali, è che Pelè e Garrincha non facevano parte dei titolari. Al loro posto c’erano Dida e l’ala destra Joel. Poi successe qualcosa, e nulla fu più uguale a prima.
IL METODO Dopo il disastro del Maracanaço nel luglio del 1950, la sconfitta nell’ultima partita contro l’Uruguay, la coppa che se ne va a Montevideo e milioni di brasiliani in lacrime, e dopo il mezzo disastro del Mondiale 1954 in Svizzera, la Seleçao è a un punto di svolta. Com’è possibile che la nazione considerata la patria del calcio non sia mai riuscita a conquistare un titolo? Se lo chiedono tutti e nessuno trova una risposta. Per ovviare al problema i dirigenti della Federcalcio decidono di affidarsi a una struttura moderna: il «futbol toda joia» dovrà nascere dall’applicazione di rigorose teorie scientifiche. Così vengono ingaggiati medici, dietologi, fisioterapisti, psicologi, professori di ginnastica, persino un ingegnere. E tutti vengono messi a disposizione del commissario tecnico. Il loro compito sarà quello di valutare circa 300 calciatori. Da questi si dovranno poi scegliere quelli che parteciperanno al Mondiale del 1958 in Svezia. L’allenatore Vicente Feola, detto «o Gordo» (il Grasso), accetta i suggerimenti, collabora con la struttura scientifica e ascolta i consigli. Difficile, tuttavia, far convivere i pareri medici o psicologici e le convinzioni tecnico-tattiche. Feola è un sostenitore del modulo 4-2-4, vuole due ali che sappiano superare l’avversario in dribbling e crossare o tirare in porta con precisione. Il migliore su piazza, in questo ruolo, si chiama Manoel Francisco dos Santos, in arte Garrincha. Fa cose che nessuno al mondo riuscirebbe nemmeno a pensare. E le fa nonostante abbia una gamba più corta dell’altra. Il senhor Carvalhaes, lo psicologo, tuttavia, lo boccia dopo un test di cultura generale: «È un selvaggio». Di Pelè, non ancora maggiorenne, Carvalhaes dice: «Immaturo». Impensabile portarli entrambi al Mondiale. Il c.t. Feola, che non brilla per coraggio, si prende parecchi giorni per riflettere. Alla fine, tuttavia, decide di imbarcare Garrincha e Pelè nell’avventura. Non come titolari, però.
LA RIUNIONE L’8 giugno 1958 il Brasile gioca la prima partita del Mondiale contro l’Austria. Finisce 3-0, ma Feola non è contento dei movimenti dei giocatori d’attacco e lo dice chiaramente. I giornalisti brasileiros al seguito della Seleçao criticano il modo di giocare. E vanno giù pesante quando, l’11 giugno, il Brasile pareggia 0-0 contro l’Inghilterra, rischiando anche di perdere. «Così non si può andare avanti!», tuonano. Feola sa bene che hanno ragione. Ma i medici, gli psicologi e i professoroni, che seguono la nazionale a spese della comunità, non modificano il loro giudizio e cercano d’influenzare le scelte dell’allenatore. Le linee d’attacco spedite in campo da Feola sono le seguenti: Joel ala destra, Altafini e Dida punte centrali e Zagallo ala sinistra contro l’Austria; Joel ala destra, Altafini e Vavà punte centrali e Zagallo ala sinistra contro l’Inghilterra. Un solo cambio, dunque: Vavà al posto di Dida. Di Garrincha e Pelè nessuna traccia. Il 12 giugno, a tre giorni dalla sfida decisiva contro l’Unione Sovietica, Feola decide di fare di testa sua: era ora! Manda al diavolo i dottoroni e convoca una riunione con i giocatori: vuole sapere da loro, guardandoli in faccia, che cosa pensano e quali possono essere le soluzioni. La scena si svolge all’interno dell’albergo di Goteborg che ospita la Seleçao. A parlare, dopo un breve intervento del commissario tecnico, sono Nilton Santos, detto l’Enciclopedia per l’enorme conoscenza calcistica; Didì, il cervello del Brasile; e Bellini, il capitano. Il discorso è chiaro: devono entrare in squadra Garrincha e Pelè al posto di Joel e di Altafini. Il fronte offensivo, dopo quella riunione, risulta così formato: Garrincha a destra, Vavà e Pelè in mezzo, Zagallo a sinistra con il compito di aiutare i centrocampisti Didì e Zito.
IL TRIONFO Il 15 giugno, allo stadio Ullevi di Goteborg, davanti a più di cinquantamila spettatori, la Seleçao fa vedere al mondo intero come si gioca a pallone. Bastano cinque minuti, trecento secondi, e la storia cambia. Garrincha ubriaca il terzino sovietico, si accentra, tira e colpisce il palo, con Jascin ormai battuto; ancora Garrincha, dopo un altro dribbling meraviglioso, crossa e Vavà interviene spedendo il pallone sulla traversa; poi è sempre Vavà a timbrare l’1-0 in capo a un’azione manovrata nella quale i sovietici non riescono mai a intervenire. Il raddoppio, dello stesso Vavà, è frutto di un’invenzione di Pelè che scucchiaia il pallone sui piedi del compagno. Jascin, il grande e immenso Jascin, s’inchina. Da quel momento è una sinfonia. Il Brasile elimina il Galles (1-0, primo gol di Pelè al Mondiale), la Francia (5-2) in semifinale e, in finale, si mangia i padroni di casa della Svezia capitanati da Nils Liedholm (5-2). Finalmente la Seleçao è sul tetto del mondo. Si brinda nel salone delle feste di un albergo di Stoccolma, dove si nota una sola assenza: quella dello psicologo Carvalhaes.