La Gazzetta dello Sport, 10 aprile 2016
Dopo il richiamo del nostro ambasciatore al Cairo, il ministero degli Esteri egiziano ci fa arrivare due risposte contradditorie

Dopo il richiamo del nostro ambasciatore al Cairo, il ministero degli Esteri egiziano ci fa arrivare due risposte contradditorie. Una, all’apparenza più dura, dice: «Il ministero degli Affari esteri egiziano finora non è stato informato ufficialmente del richiamo del proprio ambasciatore al Cairo per consultazioni da parte dell’Italia». Una seconda, più conciliante: «Il ministero degli Affari esteri pubblicherà nelle prossime ore un comunicato per rispondere alla decisione dell’Italia di richiamare il proprio ambasciatore al Cairo per consultazioni sullo sfondo del caso Regeni».
• So che i loro giudici, di ritorno da Roma, hanno tenuto una conferenza stampa.
Sì, il procuratore generale aggiunto Mostafa Soliman, in una conferenza stampa al Cairo, ha illustrato i risultati della missione egiziana a Roma e spiegato perché è impossibile consegnare agli inquirenti romani i tabulati telefonici richiesti dagli italiani. «Sarebbe contro la Costituzione e le leggi vigenti egiziane», vale a dire l’Egitto sarebbe costretto a difendere la privacy dei suoi cittadini. Secondo Soliman «il 98% delle richieste italiane sono state soddisfatte. L’Italia ha chiesto la registrazione di chiamate telefoniche di tre persone in rapporto con la vittima e abbiamo detto: “Sì, vi metteremo al corrente”. Se l’avessimo saputo avremmo portato la risposta con noi. L’Egitto, comunque, desidera proseguire la collaborazione con la parte italiana per scoprire i fatti relativi all’omicidio dello studente italiano».
• Non capisco bene qual è la loro posizione.
Hanno problemi. La freddezza italiana per loro è un problema, un grosso problema. L’assassinio di Regeni e tutto quello che è successo prima e dopo sono il risultato di una lotta interna tra i vari apparati dello Stato, in particolare tra il servizio segreto del ministero degli Interni, ovvero la cosiddetta State Security (SS) di cui fa parte il sospettato numero 1, cioè il generale Khaled Shalabi, e la Gis - cioè la loro Cia - molto irritata perché al Sisi ha sostituito completamente i vertici con uomini a lui fedeli. Anche il doppio comunicato del loro ministero degli Esteri riflette forse queste divisioni, chiarissime peraltro a chi sa leggere la stampa locale. La stampa locale, pur non essendo affatto libera, risponde però a questo o a quell’apparato, ci sono anche quotidiani che fanno riferimento ai Fratelli Musulmani e, come accadeva con l’Unione sovietica, un lettore preparato nella lettura di fogli come HorriaPost o 7Youm può farsi un’idea abbastanza precisa, e sia pure a grandi linee, di quello che sta succedendo.
• Dopo aver ritirato l’ambasciatore, che altro può fare l’Italia per costringere l’Egitto a collaborare?
Intanto la Procura di Roma inoltrerà una nuova rogatoria internazionale per chiedere ancora una volta l’acquisizione dei tabulati telefonici di una decina di egiziani. Mentre io e lei parliamo, il nostro ministro Gentiloni e l’Alto rappresentante per gli Affari esteri della Ue, Federica Mogherini, si trovano in Giappone per il G7 dei ministri degli Esteri e stanno studiando il modo di coinvolgere l’Unione Europea nelle pressioni sull’Egitto. Gentiloni ha ribadito da laggiù: «Ricordo sempre gli aggettivi che ho usato e cioè che adotteremo misure immediate e proporzionali: questo ci siamo impegnati a fare e questo faremo». Gentiloni dovrebbe sentirsi al telefono direttamente con Sameh Shkur, il loro ministro degli Esteri. Gli egiziani, comunque, non hanno deciso di richiamare a loro volta il loro ambasciatore a Roma, segno che stanno tentando di non aggravare le tensioni. Noi potremmo ancora tagliare sugli scambi culturali tra i due paesi (nostri ricercatori che vanno laggiù, loro studenti che vengono qui), grave sarebbe se noi dichiarassimo ufficialmente che l’Egitto è un «paese non sicuro», giudizio che potrebbe incidere fortemente su viaggi e vacanze al Cairo e alle Piramidi. Potremmo partecipare ai loro colloqui politici non più con ministri, ma con funzionari, e potremmo impedire ai loro politici di venire da noi. Esiste la possibilità di sanzioni commerciali, ma è ancora remota.
• Non c’è anche un problema di politica internazionale? La questione libica, gli islamisti dell’Isis all’attacco...
Gli americani sono preoccupatissimi per la crisi dei rapporti tra noi e loro. Al Sisi, che a questo punto ha seri problemi interni, è comunque l’unico alleato di Israele nella zona, fa da baluardo al Califfo, gioca un ruolo decisivo nel futuro della Libia dato che il governo di Tobruk agisce sotto la sua influenza.
• C’è pericolo di un nuovo colpo di stato?
Non è alle viste, però dobbiamo ricordare che al Sisi è al potere grazie a una coalizione di forze e di interessi, guidati, come sempre, dalla casta militare. Se il nuovo dittatore del Cairo non corrispondesse più alle aspettative di quelli che contano...