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 2016  aprile 09 Sabato calendario

Viaggio a Galliate, il paese dei soprannomi

A Galliate anche la piazza principale ha un soprannome: per le cartine si chiama piazza Vittorio Veneto, per i galliatesi «Taragiu». Non è l’unico: nei decenni le famiglie hanno cercato di differenziarsi.
E l’hanno fatto facendo appello alla lingua madre, quella che si parlava in casa. Sono nati così quasi cinquecento soprannomi, conservati gelosamente in un elenco ordinato, in bella grafia. Nella città dell’Ovest Ticino – frontiera novarese alle porte con la Lombardia – questa ricca tradizione popolare è stata conservata fino ad oggi sia grazie alla memoria e all’uso, sia per l’opera di Ezio Bozzola, che li ha trascritti pazientemente a mano in un ordinato elenco all’inizio degli Anni 70, in bella grafia. Ora a custodirli è il figlio Marco, presidente del Consiglio comunale, che conserva gelosamente l’eredità paterna.
La lista comprende pochi fogli, in rigoroso ordine alfabetico: venti voci per colonna, cinque colonne per pagina. Centinaia e centinaia di nomi, su una popolazione che attualmente supera i 15 mila abitanti, ma che all’inizio del secolo scorso non andava oltre i 9 mila residenti. Quasi uno per ogni nucleo famigliare. Molto meno numerosi sono i cognomi in uso come Airoldi, Bozzola, Belletti, Gambaro, Fonio, Martelli, Avvignano, che resistono ancora oggi nonostante le varie ondate migratorie. In queste condizioni il rischio di fare confusione era concreto: qui come altrove si svilupparono dunque definizioni legate alla professione, a caratteristiche fisiche, morali, difetti, aneddoti: ce ne sono di curiosi come «Sciüca», in italiano «zucca», per la capatosta del primo titolare. Da questa pianta nascevano poi discendenti più o meno robusti che prendevano il nome di «Sciüchin», «zucchino», o «Sciücon», «zuccone».
Anche il sindaco, Davide Ferrari ne ha uno: è «Sciarturin», poiché uno dei suoi antenati era un sarto. Il dialetto è quello di questa terra di mezzo tra Piemonte e Lombardia: si va dai classici «Purslatin» e «Purslaton», rispettivamente maialino e maialone, all’altisonante «Trumbonbalè», il trombone ballerino. Poi ci sono i «Pursati», le pulci, ma anche i «Paua», intraducibile, «Cichin centu boti», «Francesco cento volte», poi «Zucrati», ovvero produttore di zoccoli. Ci sono poi suoni forse anche onomatopeici come «Gnaf», oppure altri legati alla propensione al cibo o alle chiacchiere come «Bucascia», boccaccia.
«All’inizio degli Anni 70 – spiega Marco Bozzola – mio papà con altri amici decise di non far dimenticare il dialetto. Nacque così il primo “Tacuêin dl’anu 1971, spitascià da Gajà”. La bozza fu compilata da mio padre a mano». Pochi anni dopo arriva «Gajà spitascià»: accanto ai nomi degli autori l’immancabile soprannome: Angelo Belletti, detto «Didò», Lo stesso Bozzola, detto «Fratin» perché aveva studiato dai frati, Antonio Garzulano, «Garzüron», Alessandro Mainardi, «Bison», biscione, Umberto Cardano, «Pec», denominazione che ha a che fare con colori e pennelli, forse da un antenato pittore o imbianchino, e Domenico Airoldi, «Gabiin».
L’attaccamento a questa parte del proprio patrimonio culturale non è morta neanche con l’arrivo della televisione e dell’italiano diventato ormai lingua madre. «Raccolgo cartoline, materiale vario sulla città, pubblicazioni – conferma Giuseppe Grigolon, padre veneto ma con ascendenze materne galliatesi che risalgono al 1600 – sto facendo anch’io una ricerca sui soprannomi, e diffondo tutto questo materiale sui social network. Non sono un collezionista geloso, mi piace condividere quotidianamente ciò che trovo». Lo ribadisce il sito del Gruppo dialettale galliatese: «Un popolo «è» le sue radici. E il dialetto è uno «scrigno» che custodisce storia, vita, usi, tradizioni, costumi e folclore di un territorio; è un prezioso ponte tra un passato più o meno remoto, che rischia di scomparire, e un presente nel quale la tradizione orale potrebbe diventare soltanto un lontano ricordo».