Il Sole 24 Ore, 9 aprile 2016
L’Argentina ritorna sui mercato, ma forse non è ancora pronta
Chissà cosa si diranno le famiglie argentine davanti al tradizionale asado, il barbecue della domenica. Sei mesi fa l’Argentina era il Paese reprobo, tra i più inguaiati d’America Latina. Con l’inflazione al 30%, i prezzi delle materie prime agricole ( di cui il Paese è forte esportatore) che non risalgono, la disoccupazione in crescita, l’industria a pezzi. «Un Paese senza speranza» titolava il Clarin, titolava La Nacion.
Oggi è rimasto tutto uguale. A sei mesi di distanza da un disastro prossimo venturo l’unica novità riguarda l’inflazione: è salita dal 30% al 40% annuo. Eppure l’Argentina è diventata «il Paese del futuro».
Non si può neppure argomentare....«It’s the economy, stupid», come avrebbe fatto Bill Clinton.
È il sentiment, bisbigliano gli analisti, la “confianza”, annunciano i giornalisti televisivi, quella maggiore fiducia che ora sembra pervadere gli animal spirits degli operatori finanziari.
Troppo poco per esultare davanti all’asado, per tutti gli argentini che ricordano bene l’entusiasmo dei mercati finanziari, 15 anni fa, alla vigilia della madre di tutte le crisi, il default del 2001. Scontri di piazza, morti e feriti, la disoccupazione al 55%, il Paese in ginocchio.
Tuttavia, qualcosa è successo. Nei prossimi giorni è in programma un road show che prelude a una emissione di debito pari a 12,5 miliardi di dollari. L’Argentina torna sul mercato dei capitali dopo un’assenza durata 15 anni; i gruppi finanziari coinvolti sono Deutsche Bank, Hsbc, JP Morgan e Santander. Il ministero dell’Economia mette in campo il viceministro delle Finanze Pedro Lacoste e il ministro dell’Economia, Luis Caputo, in viaggio tra New York e Los Angeles dall’11 al 14 aprile.
Ci sono due leggi da abrogare, al Parlamento di Buenos Aires: la Ley Cerrojo e la Ley de pago soberano. «Lacci e lacciuoli che ci hanno confinato ai margini della comunità finanziaria internazionale», dicono gli operatori della city di Buenos Aires.
Alzando lo sguardo dalla finanza alla politica il quadro si fa un po’ più chiaro. Il neo presidente Mauricio Macri, in carica da pochi mesi, ha voltato pagina, riavviato i rapporti con gli Stati Uniti, dialoga con l’Europa, non si è perso il summit di Davos e vorrebbe reimpostare la politica economica e commerciale dell’Argentina. Vari viaggi negli Stati Uniti e un obiettivo centrato: la visita di Barack Obama a Buenos Aires.
Insomma un nuova relazione bilaterale con gli Stati Uniti, in cui ci si reciprocano dichiarazioni di simpatia. Oltre alle visite istituzionali vale la pena osservare cosa accade nella para politica. Keith Farlinger, ceo di Region America di Bdo, società di consulenza americana presente in 154 Paesi, parla chiaro: «L’Argentina presenta straordinarie opportunità in vari settori. Carne, industria alimentare, soia, zootecnia». E poi ancora: «Negli Stati Uniti c’è molta liquidità e stiamo cercando un luogo dove investire».
In effetti i governi di Nestor Kirchner e poi della moglie Cristina Fernandez de Kirchner non hanno mai avviato un dialogo con la finanza internazionale, anzi, veniva sempre additata come la piaga da cui il Paese si era liberato.
La virata di Mauricio Macri era stata preparata da tempo, addirittura prima della sua vittoria alle elezioni presidenziali del settembre 2015. In cima ai suoi pensieri vi è sempre stato il ripristino delle relazioni economico finanziarie.
Già pochi giorni dopo il suo incarico presidenziale, Macri avviò un negoziato con i creditori holdouts americani, quelli che non avevano accettato la ristrutturazione sul debito decisa da Buenos Aires dopo il default del 2001 e avevano preteso il rimborso totale dei loro crediti. Dopo una lunga trattativa gli hedge fund americani hanno accettato un compromesso e oggi l’Argentina acquisisce le condizioni per rientrare sul mercato dei capitali.
Il Senato di Buenos Aires ha approvato, il 31 marzo scorso, il nuovo accordo con i creditori, che prevede appunto il rimborso ai famigerati Fondos buitres, avvoltoi(così vengono chiamati in Argentina). Dopo 15 ore di dibattito il Senato ha dato il via libera al provvedimento finale con 54 sì e 16 no. L’intesa, già passata alla Camera, ha sbloccato la lite che da 15 anni vede il governo argentino contrapporsi ai detentori di obbligazioni in default, i tango bond.
La prossima tappa dovrebbe essere la conclusione dell’annosa querelle con i risparmiatori italiani che non hanno accettato i due swap del 2005 e del 2010.
Entro maggio o giugno i risparmiatori italiani, 15 anni dopo il default del 2001, dovrebbero incassare. Si chiude il contenzioso tra l’Argentina e gli oltre 50mila che avevano investito 900 milioni di dollari nei Tango Bond. Con una intesa bilaterale preliminare fra l’Esecutivo e la Tfa (la task force Argentina), quella delle banche, il governo di Buenos Aires ha accettato di pagare in contanti il valore nominale dell’obbligazione e il 50% degli interessi dal default a oggi. Insomma, chi ha investito 100 incassa il 150 per cento. L’operazione ha un controvalore di 1,35 miliardi. L’accordo è soggetto all’approvazione da parte del Parlamento argentino, ma tutto fa credere che vi sia un epilogo favorevole, dato che la Camera di Buenos Aires ha approvato quello con gli holdouts americani, i fondos buitres, davvero invisi alla società e alla comunità finanziaria. Ai risparmiatori italiani non dovrebbero arrivare sgambetti dell’ultimo minuto.