Corriere della Sera, 9 aprile 2016
Su debito e deficit la guerra fra Italia e Ue è rinviata
Avanti con una dose di autentico impegno e un po’ di pretesa che tutto sia sotto controllo, sia a Roma che a Bruxelles. Avanti nell’idea che a ottobre, quando ancora una volta tutto tornerà in discussione, l’Europa sarà diversa. Troppo fragile a quel punto, troppo presa da altri problemi o magari divenuta troppo insicura delle sue vecchie ricette per occuparsi del debito italiano che non scende. Anzi, probabilmente anche quest’anno sale.
Dopo i decibel delle polemiche, il Documento di economia e finanza varato ieri dal governo mostra che fra l’Italia e la Commissione non c’è alcuna voglia di conflitto. Anche a costo di stringere qualche vite del bilancio a Roma e di ricorrere, a Bruxelles, a una certa indulgenza sulle tendenze di fondo della finanza pubblica. Non sarebbe difficile in effetti individuare i punti deboli nell’infrastruttura presentata ieri dal governo, e i suoi architetti lo sanno. Ma persino nella Commissione Ue un numero crescente di operatori ritiene che questo non sia il momento di chiedere molto altro.
Nel merito, vari fattori fanno sospettare che i conti reali dell’Italia nel 2016 e nel 2017 saranno diversi da quelli presentati ieri nel Def. Il documento annuncia già da quest’anno un lieve calo del debito rispetto alle dimensioni dell’economia. Sarebbe la prima inversione di tendenza dal 2008, eppure le ipotesi sulle quali si basa questo scenario restano profondamente incerte. Lo sono per esempio quelle sui proventi previsti dalle privatizzazioni: nel Def il governo prevede di incassare otto miliardi nei prossimi otto mesi, ma vendere un altro 30% di Poste potrebbe fruttarne al massimo tre e le cessioni di immobili e di una quota dell’Enav, l’ente di assistenza di volo, appena un altro miliardo. Per il momento non c’è molto altro da vendere.
Una seconda ragione di merito fa dubitare del calo del debito nel 2016. Perché scenda rispetto al reddito nazionale (Pil), occorre che il volume finanziario di quest’ultimo risulti accresciuto da un certo tipo di inflazione; si tratta di un indice di prezzi particolare, che include fattori come i beni esportati. L’anno scorso questa inflazione è risultata un po’ più alta grazie alla caduta dell’euro, ma nel 2016 e rischia di essere a zero o sottozero a meno che l’euro non crolli di un altro 25%. Se non succederà, è probabile che anche nel 2016 il debito salga. Il solo modo per evitarlo sarebbe un’altra stretta di bilancio – nuovi tagli o tasse – che il governo ha già escluso in quanto «controproducente».
Quanto al deficit, fra Roma e Bruxelles tutto si gioca in un mix fra compromessi e rinvii. Il governo accetta di limare di tre miliardi il disavanzo di quest’anno, mentre fissa per il prossimo un obiettivo sul quale gravano alcuni interrogativi. Per centrare l’obiettivo ufficiale di deficit all’1,8% del Pil nel 2017, confermando anche un taglio delle tasse sulle imprese ma evitando un aumento dell’Iva da 15 miliardi a carico dei consumatori, il percorso si presenta difficile. In ottobre il governo dovrebbe presentare in legge di Stabilità tagli di spesa o nuove tasse per almeno 22 miliardi, in teoria.
Nella pratica, sembra probabile che in autunno l’Italia cerchi di rinegoziare ancora una volta i suoi obiettivi di finanza pubblica. La speranza è che per allora anche le idee a Bruxelles siano cambiate un po’. Il deficit italiano è sceso dal 5,3% del Pil del 2009 fino a una quota fra il 2% e il 3% in questi ultimi anni, ma lì sembra destinato a rimanere per adesso. Il debito forse a fatica si stabilizzerà, ma potrebbe scendere solo se arrivasse una robusta ripresa. Nel caso di nuova recessione, l’intero equilibrio tornerebbe pericolosamente in gioco.
Al netto delle dispute sulle clausole del «fiscal compact», è questo l’assetto di fondo dal quale il governo si prepara a ridiscutere tutto con la Commissione Ue in autunno. Offrirà qualche riforma e concessioni, ma chiederà nuovi margini di bilancio e in questo non sarà solo. La Francia si prepara a fare altrettanto in vista delle presidenziali del 2017; la settimana prossima anche il Fondo monetario internazionale proporrà tagli di tasse e investimenti pubblici in Occidente che contrastino la minaccia della deflazione. Poiché l’Italia non ha molto spazio per farne, a Bruxelles non resta che sperare che gli interventi in deficit siano almeno spesi bene: adatti a far crescere il sistema produttivo del Paese, non solo il gradimento nei sondaggi di chi li firma.