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 2016  aprile 07 Giovedì calendario

In difesa del Trap e dei suoi porcaputtana

Si può difendere il «porca puttana» scappato a Giovanni Trapattoni nel corso di Germania-Italia quattro a uno? E tutti gli «orchizii» in canna? E quel tono di voce da cospiratore intercettato? Ci provo. Trap ha 77 anni, e ricorda il soldato giapponese che, fedele all’imperatore, continua a combattere una guerra in archivio da un secolo. Staccare è dura per tutti: penso ad Alessandro Del Piero, che pur di rinnovare con la Juventus era disposto a giocare gratis, addirittura; e a Francesco Totti, che ha avuto la stessa idea. E, dalla Roma, la stessa risposta.
Il tema offre lo spunto per allargare i confini alle seconde voci in un mondo che, a furia di privilegiare l’urlo, ha trasformato la magia delle telecronache nella nostalgia delle radiocronache. La Nazionale, poi, è figlia di nessuno fino, almeno, alla fase conclusiva di un Mondiale o di un Europeo, periodo in cui ci si sistema tutti attorno al carro, si affilano gli aggettivi e, in base al risultato, si sale incensando o si scende pugnalando.
Per una volta, alla chirurgia lessicale di altri illustri primari privilegio la genuinità del grammelot trapattoniano, quel suo essere (ancora) precettore piuttosto che censore. L’immagine dei «tiri gobbi» – per descrivere le sberle che, rimbalzanti e ondeggianti, truffano le leggi delle balistica – è un piccolo gioiello. Non discuto che Arrigo Sacchi sia superiore alle montagne russe del collega, ma avrei pagato per sentire il suo «canto libero» sugli ultimi venti minuti di puro catenaccio della Juventus a Monaco. Gli avanzi fuori onda, non i concetti diffusi in diretta dal pulpito di «Mediaset Premium».
Gli opinionisti che affiancano i titolari del microfono sono tutti ex (allenatori, giocatori) che spingono perché gli arbitri non fischino mai. Se avesse giocato come oggi spiega e raccomanda dagli studi di «Sky», Daniele Adani avrebbe oscurato Franz Beckenbauer. Per tacere dell’aplomb inglese di Gianluca Vialli, così lontano dal lottatore che fu: e comunque collezionista, da allenatore-giocatore del Chelsea, di esperienze non proprio banali. Adani rifiutò l’invito di Roberto Mancini, che lo voleva con sé all’Inter. E Beppe Bergomi ha resistito a ogni tentazione di trasloco, preferendo lavorare sulla stoffa dei ragazzi e sull’onestà dei falli.
Chi cerca un unto dell’oratoria, ha sbagliato indirizzo. Trap porta in giro le sue medaglie e le sue cicatrici. Non è mai fuggito alle catene delle sue gaffe, dei suoi «Strunz». Anche se in giacca e cravatta, da come si incarta e si attorciglia sembra sempre in tuta. Stile e stiletto, scriveva Giovanni Arpino. Prendete Christian Panucci, uno dei difensori più eclettici che la nostra scuola abbia prodotto. Dagli Appennini alle Ande e dai riflettori alle panche, non è solo questione di Cuore. Da tecnico di «Sky» spezzava il pane della scienza con una serenità quasi francescana. Da tecnico del Livorno, invece, è già stato esonerato due volte. Il caso Panucci è tipico dello «scambismo» italiano. Pompieri in video, piromani in campo. Ruoli e buoi degli interessi tuoi.
Non che ci volesse il pronostico del Clasico, per ribadire la competenza asciutta di Fabio Capello, ma di sicuro vi ha contribuito. Come, più in generale, le analisi di Zvonimir Boban sono coltelli, non temperini: quando ero a «La Stampa», e mi chiedevano un’intervista fuori del coro, telefonavo a lui. Ogni tanto, però, un «bicchiere» di Trap non guasta. E pazienza se fin dai tempi della Gialappa’s i congiuntivi non sono il suo forte. Un p.p. di passaggio non sarà il massimo dell’eleganza, ma il Trap ha insegnato e vinto in Austria, Germania, Italia e Portogallo. Ci si può fidare, quando «orcozieggia».