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 2016  aprile 07 Giovedì calendario

Il lavoro delle banche e il lavoro della politica. A proposito della riforma del credito cooperativo

Se c’è un cosa incomprensibile per i regulator bancari europei e per gli stessi investitori, è perchè l’Italia abbia perduto tanto tempo nell’affrontare non solo la crisi del credito post-Lehman, ma anche le grandi criticità generate dalla stretta regolatoria con cui Europa e Stati Uniti hanno reagito alla sfida dei rischi sistemici. Una risposta non banale è che mentre in America, in Francia, in Germania, in Inghilterra e nel resto d’Europa i governi avevano risorse e sostegno politico sia per affrontare le criticità del mercato bancario che l’adeguamento alle nuove regole, in Italia cambiarono a stretto giro di vite ben quattro governi: per le banche come per le imprese, la stabilità è la condizione imprescindibile.
Imprescindibile non solo per affrontare i cambiamenti limitandone i danni, ma anche per un dialogo costruttivo con le stesse istituzioni. Al di là delle polemiche e delle critiche preconcette, c’è ancora una domanda a cui il Paese deve dare risposta: è possibile recuperare il tempo perduto e la fiducia del mercato?
A giudicare dagli eventi degli ultimi giorni, sembra proprio questo l’obiettivo del governo, del sistema bancario e delle autorità di vigilanza: dopo mesi di tensione per la gestione maldestra della crisi dell’Etruria e delle altre tre banche in crisi, tutti sembrano finalmente aver capito che non c’è più spazio per gli alibi. Uscire dalla crisi e dimostrare che il Paese non ha bisogno della Troika per risolvere i suoi problemi bancari è non solo un obiettivo di interesse internazionale, ma soprattutto un dovere nei confronti dei risparmiatori e di tutti gli italiani.
Errori e ritardi hanno compromesso il dialogo tra Stato, banche e mercato fino a non molto tempo fa, ma voltare pagina non è affatto una missione impossibile. Perchè in tema di banche e finanza, il problema italiano non è solo nel deficit di educazione finanziaria dei risparmiatori, ma soprattutto nel deficit di rispetto per il mercato e per i valori dell’impresa privata, un vizio che purtroppo ancora pervade larga parte del mondo politico. In nessun Paese del mondo, le banche e le authority sono state il bersaglio di polemiche e di attacchi strumentali come è invece avvenuto in Italia: dopo il crack dell’Etruria e il decreto salva-banche, la solidità del sistema bancario e la sicurezza del risparmio sono entrati ufficialmente tra gli slogan della campagna elettorale, al pari dei migranti o dei matrimoni di genere. Ma le banche non sono squadre di calcio, come la Borsa non è la roulette: le regole del gioco si basano sulla cautela e sul rispetto, sulla fiducia e sulla serietà. Anche se i capitali non temono il rischio, vanno solo dove trovano le migliori condizioni: se questo è l’obiettivo che si è dato il Governo e che le banche hanno raccolto, uscire dalla crisi sarà sempre dura, ma certamente non impossibile.
L’Italia, quanto a riforme e a cultura di mercato, è sempre stata un po’ in ritardo sugli altri Paesi, ma nel caso delle banche il prezzo pagato è stato altissimo: negli Usa sono fallite oltre 200 banche, in Europa ci sono stati salvataggi, default e crisi bancarie per centinaia di miliardi di euro, in Italia è bastata la crisi di una Popolare per mettere in croce l’intero sistema-Paese. Tutto ciò è utile per capire non solo perchè le nostre banche siano oggi bersaglio di ogni genere di speculazione, ma anche perchè oggi siano tanto alte le aspettative di una svolta: non solo nella gestione del nodo sofferenze, impossibile da sciogliere senza il coinvolgimento del mercato e dell’intero sistema bancario, ma anche nella risposta alla sfida posta dalle regole europee e dal mutamento radicale del mercato. Le banche, come le imprese, non hanno bisogno di aiuti finanziari di Stato, ma di fiducia e di riforme che rendano il mercato più efficente per chi opera e incentivante per chi ci investe. Favorire le fusioni bancarie, le ristrutturazioni, l’erogazione del credito e soprattutto il rafforzamento patrimoniale è un lavoro di squadra, non di solisti: non è solo il deficit di capitale che rende deboli le banche, ma la cultura del sospetto e gli attacchi strumentali. I banchieri hanno certamente le loro colpe e gli errori che hanno commesso sono riflessi anche nel valore di mercato delle proprie banche. Ma nessuno si sta chiamando fuori dalle responsabilità. L’allarme lanciato ora dal sistema bancario non è un SOS finanziario, ma di rapporto e fiducia tra istituzioni: quando un sistema è sano, anche le possibile crisi locali non fanno paura. Fusioni, ristrutturazioni, sofferenze, rischi, prestiti, mutui, investimenti: questo è il lavoro delle banche, dei privati e del mercato. Se lo Stato crea le migliori condizioni, solo loro possono trovare la soluzione dei problemi.