il Fatto Quotidiano, 7 aprile 2016
Bagnoli, un equivoco lungo venticinque anni
Venticinque anni, 360 milioni di euro e un equivoco. È di questo che parliamo quando diciamo Bagnoli. L’equivoco in realtà sono molti: quello del Mezzogiorno industriale e della fabbrica che spazz ’o vico sostituendo l’educata tuta blu alla plebe dei bassi; poi c’è l’equivoco delle bonifiche, quello del campare di turismo, quello della primavera napoletana.
Oggi Bagnoli, nel senso dell’area Bagnoli-Coroglio, sono mille ettari: erano quelli in cui sorgevano gli impianti Italsider (oggi Fintecna, cioè Cassa depositi e prestiti), l’industria del cemento che ne sfruttava le scorie (Cementir, controllata dal gruppo Caltagirone), più le zone limitrofe e ovviamente il mare. Oggi – come da 16 anni – Bagnoli è un Sin, un sito di interesse nazionale, nel senso che va bonificato. Ma la storia inizia prima. È l’inizio degli anni ’90 quando si spegne l’altoforno. La Bagnoli di cui parliamo oggi inizia allora e sopravvive sopra quella che esiste da sempre dentro i Campi Flegrei e corre tra la collina di Posillipo e il Golfo di Pozzuoli.
Il piano urbanistico a cui Matteo Renzi oggi dice di volersi conformare nasce 22 anni fa, nel 1994, per merito di Vezio De Lucia, assessore all’Urbanistica di Bassolino: all’ingrosso prevede che i 3/4 dell’area vada destinato a verde pubblico attrezzato. È il Progetto Bagnoli, quello “del verde, del sapere e del loisir”, il tempo libero. C’è un problema. Bagnoli, dopo un secolo di industria, è un disastro. Va bonificata e le bonifiche costano. Nel 1996 il Parlamento decide che pagherà lo Stato e stanzia 20 miliardi di lire per la neonata Bagnoli Spa: quando verrà chiusa, nel 2002, ne avrà spesi 300 e senza aver nemmeno cominciato a pulire.
Il 2002 porta con sé un’altra società: Bagnoli Futura Spa, partecipata da Comune, Provincia e Regione. Chiuderà nel 2013 tra scandali e inchieste della magistratura: a quel punto, se ne sono andati un decennio e altri 200 milioni di euro con risultati rivedibili. In alcuni lotti, diceva Bagnoli Futura, la bonifica è al 60% con tanto di certificati ufficiali della Provincia. Solo che, fecero notare i pm di Napoli, controllore e controllato sono la stessa cosa: le analisi effettuate dai magistrati segnalavano addirittura un peggioramento delle condizioni ambientali di lotti che risultavano puliti.
Il simbolo di Bagnoli è la “colmata a mare”. Una montagna di rifiuti industriali prodotti da Italsider e Cementir che sta lì dagli anni Sessanta e ha modificato persino la linea della costa: 200mila metri quadrati che, dicono le analisi, continuano a inquinare il mare ancora oggi.
Il sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, a fine 2013 aveva emesso un’ordinanza che intimava a Fintecna e Cementir di rimettere tutto a posto. “Chi inquina paga”, dice la legge. Era la terza ordinanza simile e come le precedenti non è stata rispettata. Stavolta a bloccarla ci ha pensato il decreto Sblocca Italia.
E adesso? Bisogna capire cosa c’è da fare. Ispra, ente del ministero dell’Ambiente, ha concluso a febbraio la “caratterizzazione” del sito: una suddivisione per dimensioni e problematicità degli agenti inquinanti. Ma per sapere cosa c’è davvero a terra e in acqua bisogna aspettare l’estate. Scrive Ispra: “Nonostante la grande accuratezza nella definizione delle potenziali sorgenti di contaminazione può accadere di trovarsi di fronte a situazioni di criticità ambientale non prevedibili dal modello concettuale”. Pure la conoscenza a volte è un equivoco.