La Stampa, 7 aprile 2016
I problemi dei pensionati D’Alema e Berlusconi
A proposito di Silvio Berlusconi e di Massimo D’Alema, e di una certa sinistra in genere, si diceva «simul stabunt simul cadent». Il sospetto che si fosse passati dalla fase dello stabunt alla fase del cadent era già abbastanza corposo, ma qualcosa di simile alla certezza si è avuta un paio di settimane fa, alle lettura di un’intervista concessa dall’ex premier postcomunista al Corriere della Sera. Aldo Cazzullo gli chiedeva se fosse lui il regista delle candidature antirenziane, a Napoli di Antonio Bassolino e a Roma di Massimo Bray (allora in procinto). D’Alema rispose come fa di recente, col blasonato distacco di chi si occupa di alte questioni internazionali e non di locale quotidianità: «Sono sbarcato all’alba a Fiumicino, dall’Iran, dove Vodafone non prende. Non so nulla...». Però qualche riga sotto la falsa immodestia evaporava: «I dati sono impressionanti. Nelle aree di voto d’opinione, Bassolino è nettamente avanti. In altre zone è sotto di tremila voti... Bassolino denuncia un mercimonio. Produce video che lo provano. E il presidente del partito, con il vicesegretario, rispondono che il ricorso è respinto perché in ritardo?». Sapeva tutto. Curioso che un uomo accorto e abile come D’Alema abbia smentito se stesso nello spazio d’un capoverso.
E però l’altra sera, a Otto e mezzo da Lilli Gruber, ne ha dette un altro paio di notevoli. Prima: «Renzi è un uomo che divide, che lacera, ha un tono sprezzante». Espresso da D’Alema è un giudizio abbastanza temerario. Negli anni, infatti, lo «sprezzante» era lui, ma anche «spocchioso», «maleducato», «autoritario» e «arrogante» secondo le invettive di Gianfranco Fini, Claudio Martelli, Ciriaco De Mita, Beppe Pisanu, Fabrizio Cicchitto, Sandro Bondi, Claudio Martelli e tanti altri. Seconda: a proposito del referendum-trivelle, ha definito «indecente» che «il maggior partito italiano inviti a non andare a votare». Un convincimento che è di D’Alema da sempre («chi non va a votare non è degno di governare», 2011), con qualche eccezione, per esempio nel 2003, referendum sull’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. I giornali scrissero che D’Alema sarebbe andato a votare e invece no: «Non ci vado». Avrebbe seguito, condividendole, le indicazioni del partito. Nell’occasione non era indecente astenersi, anzi lo era chi metteva in dubbio il suo sincero astensionismo: «È indecente che ci siano quotidiani che, invece di informarsi, riportano veline...».
Questa bizzarra abitudine di attribuire agli avversari, e soprattutto a Matteo Renzi, colpe e difetti di cui si ha quasi il copyright, è molto in voga soprattutto in Forza Italia. Per esempio, tornando al referendum-trivelle, il partito di Berlusconi non ha una linea ufficiale ma, a nome dei giovani azzurri, Mariagrazia Calabria ha già annunciato il sì al fianco di Adriano Celentano e Piero Pelù. Per il sì sono anche i deputati forzisti di Puglia, capeggiati da Francesco Paolo Sisto che lo farà «per il nostro mare». Chissà quale peso ebbe la cura per il mare quando Berlusconi inaugurò la centrale a carbone di Civitavecchia e chissà la rabbia quando Celentano e Pelù, e tutti gli ambientalisti, davano del criminale al capo del centrodestra vanamente all’opera nel rilancio del nucleare. Del resto da quelle parti c’è il capogruppo alla Camera, Renato Brunetta, che ha proposto paralleli fra Renzi e Mussolini («derive autoritarie», «duce dell’Italia», «come col fascismo»), immemore del primo soprannome affibbiato al Berlusconi politico: «Cavaliere nero». Ne ebbe molti altri, e affini, specialmente a ogni progetto di riforma istituzionale. Allora la sinistra si angosciava al ricordo del dittatore e scendeva in piazza sventolando la Costituzione. Mai avremmo fantasticato su un Berlusconi che raduna i suoi, come è successo sei mesi fa, in difesa della Carta più bella del mondo.
L’altro grande cavallo di battaglia di Brunetta è il conflitto d’interessi, cioè l’estenuante peccato originale dal quale i berlusconiani non sono mai stati assolti. E però adesso il portatore di conflitto è Renzi: nel salva-Roma, nel petrolio, nelle banche, nelle riforme e in mafia capitale («il conflitto d’interessi è la malattia mortale del suo esecutivo»). È lui il servo delle lobby. Lui la voce del padrone. Lui che regge soltanto perché «sta sei ore alla settimana in televisione». Lui che ha sublimato tutto il male di Berlusconi e D’Alema, dicono D’Alema e Berlusconi, simul.