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 2016  aprile 07 Giovedì calendario

Rocco, Maldini e poi il fallimento: il triste destino della Triestina

Fra le viti del Carso, sotto uno svincolo dell’autostrada che è già quasi Slovenia, una bora spietata gonfia i fratini di ragazzotti spauriti. Quello che rimane della Triestina si allena a Prosecco, in affitto sul sintetico, a venti minuti dal centro. Il Tribunale ne ha pronunciato il fallimento, su istanza della procura, il 1° febbraio. Il presidente, il romano Marco Pontrelli, ha impugnato la sentenza: ieri l’udienza, la Corte d’Appello si è riservata la decisione. Se sarà respinto il reclamo, martedì si va all’asta fallimentare. Base 100mila euro, per il parco giocatori, i mobili da ufficio, le macchine della palestra. E serve una fidejussione da 246mila euro, pari ai debiti sportivi, per salvare la categoria.
Intanto, un assegno da 100mila euro di Mauro Milanese, triestino, ex di Parma e Inter, permette alla Triestina di continuare a giocare, in D. È in zona play-out, a un punto dalla riva. La allena, gratis, Roberto Bordin, quinto tecnico della stagione: «Noi ci crediamo, giocare per questa maglia è una fortuna e uno stimolo in più». Il capitano Luca Piscopo racconta i giorni più bui: «Eravamo partiti per vincere, a dicembre sono andati via tanti giocatori, dopo il fallimento sono ripresi i pagamenti, per molti lo stipendio è di poche centinaia di euro. Un anno fa, prima di una partita, ci pignorarono le magliette, giocammo con i resti di magazzino».
Alle spalle di Milanese non c’è uno zio d’America ma un cugino d’Australia, il suo: Mario Vittorio Biasin è un immobiliarista che con Anthony Di Pietro controlla il Melbourne Victory, ha vinto lo scudetto. Il curatore Giuseppe Alessio Vernì due mesi fa ha chiesto ai potenziali acquirenti di presentare un’offerta con cauzione: sono arrivate due proposte, una non congrua, l’altra, di Biasin, protocollata con cinque minuti di ritardo. La riapertura dei termini ha tenuto alzato il sipario.
La Triestina oggi è una creatura no-logo: senza marchio, sponsor, abbonati. Le resta il passato, nessuna sentenza può toglierglielo. Questa è la squadra paesana di Umberto Saba, degli alabardati sputati dalla terra natia e da tutto un popolo amati. Di Nereo Rocco, che giocò qui per dieci anni e allenò per cinque. Di Cesare Maldini: lui e il paròn, due triestini, sollevarono la prima Coppa Campioni del Milan. E la storia della Triestina, dal ’19, si mescola con quella del Paese: nel ’47 fu riammessa in A per la contingente situazione politica, nel ’54 giocò in maglia tricolore per la restituzione di Trieste all’Italia. È fallita tre volte (1994, 2012, 2016). E nel 2006, dopo lo scandalo che travolse il presidente Tonellotto, fu salvata da Stefano Fantinel, famoso perché metteva tifosi di cartone nelle tribune vuote. Cinque anni di B con lui, poi il precipizio: retrocessione, cessione al gruppo Aletti, fallimento nel gennaio 2012. Sparì la Triestina, non l’alabarda: i tifosi per 36mila euro comprarono il marchio e il nome storico. E da allora decidono se prestarlo a chi fa calcio a Trieste, con una scrittura privata che impone di rispettarne l’immagine. Se lo sono ripresi un’estate fa, spiega Sergio Marassi, presidente dell’Associazione nazionale Triestina Club: «Inevitabile, dopo tante promesse non mantenute. L’economia cittadina non garantisce continuità al calcio, da anni si presentano solo avventurieri. Ma la Triestina non è solo una squadra, è il baluardo della nostra italianità, in trasferta ancora ci urlano ‘slavi’, per offenderci».
Rinata come Unione Triestina 2012 in Eccellenza, la nuova società è fallita in quattro anni, avendo mutato quattro assetti proprietari. Un gruppo di cinque azionisti locali e una partnership con Zamparini, che vantava una prelazione triennale. La scalata di due soci, Cergol e Puglia. La cessione allo svizzero-kosovaro Hamdi Mehmeti e al camerunense Pierre Mbock (a Parma lo conoscono bene: da assistente sociale in una residenza psichiatrica a noleggiatore di limousine, consigliere comunale forzista e candidato sindaco con la destra). Infine, nel 2014, il passaggio a Pontrelli, con il suo socio Pangrazio Di Piero. Per una parte della stagione, come nel Borgorosso di Sordi, il presidente è andato in panchina lui. «Perché non sono uno che si tira indietro», dice Pontrelli. La sentenza può restituirgli la società. «Se succede, la vendo un minuto dopo a un nuovo acquirente. Ricordo solo che ho ereditato tante criticità».
Il pallone muore in una città 12ª per tenore di vita secondo Il Sole 24 ore. Il sindaco Roberto Cosolini spiega: «Le imprese triestine sono globali, come Generali, Finmeccanica, Illy, oppure troppo piccole, manca la media industria che dia stabilità al calcio, che peraltro non è l’unica passione sportiva in città».
Mauro Milanese su incarico del curatore segue la gestione sportiva della Triestina, aspettando di partecipare all’asta. Giocava con Ronaldo, Baggio e Pirlo. E qui? «Qui mancava tutto, il medico, il preparatore, le maglie: i ragazzi vestivano colori diversi e venivano al campo con la roba nelle buste della spesa. Ho chiesto alla Umbro 30 kit, ce li hanno mandati sulla parola. Questa è la mia città, io ci metto la faccia».
Seduta nei suoi caffè viennesi di memoria asburgica, Trieste, aspra e vorace, aspetta.