la Repubblica, 7 aprile 2016
Trump è scivolato. E ora?
Se dieci giorni fa la nomina di Donald Trump come candidato repubblicano alla presidenza sembrava inevitabile, la sconfitta schiacciante subita da Ted Cruz nelle primarie del Wisconsin di martedì ne frena improvvisamente ma non sorprendentemente la corsa. Il tonfo elettorale arriva dopo una serie di errori tattici che hanno indebolito il palazzinaro newyorkese.
Una settimana fa Trump, durante un’intervista, ha affermato che le donne che fanno ricorso all’aborto dovrebbero essere penalmente perseguibili. Una posizione assurda che ha dovuto ritirare il giorno dopo. L’ennesima gaffe ha rinforzato l’impressione di un candidato impreparato e gli ha alienato ulteriormente l’elettorato femminile, ormai a lui ostile per oltre il 70 per cento. «Trump non è pronto a diventare presidente», ha proclamato John Kasich, il governatore repubblicano dell’Ohio e uno degli ultimi rivali rimasti in lizza. Di fronte ai dirigenti del partito c’è un panorama desolante sull’orizzonte del prossimo novembre. Come si fa a conquistare la Casa Bianca quando si perde massicciamente consenso in tre grandi bacini elettorali: le donne, i neri, gli immigrati non solo ispanici? Fino alle primarie del Wisconsin di martedì sera, l’establishment del partito si stava rassegnando a una candidatura di Trump, concentrandosi piuttosto su come conservare il potere altrove – al Senato e alla Camera – con un candidato alla presidenza perdente. Ma ora, dopo il Wisconsin, il gioco è cambiato e si aprono nuovi scenari.
Lo scenario più ovvio è una rivalutazione di Ted Cruz che ha cominciato a risalire nei sondaggi. Secondo una rilevazione della Reuters, Cruz ha sorpassato Trump per la prima volta sulla scala nazionale: 39 contro 37 per cento. Nella media dei sondaggi, Trump rimane in testa (40 a 33), ma sta perdendo consenso, mentre Cruz cresce. Così alcuni leader repubblicani si sono spostati su Cruz, nonostante forti riserve e mancanza di entusiasmo. È il caso di Lindsey Graham, il senatore (relativamente) moderato del South Carolina che tempo fa aveva detto: «Scegliere tra Trump e Cruz è come scegliere tra la fucilazione e l’avvelenamento». Ma saltare da Trump a Cruz non risolve tutti i problemi del partito repubblicano. Cruz, come Trump, è forte tra la minoranza di elettori repubblicani che vota nelle primarie, ma debole presso l’elettorato generale. A differenza di Trump, Cruz ha passato tutta la sua vita in politica ed è molto intelligente e preparato. Ma è stato giudicato il senatore più a destra dell’intero Congresso. E anche lui, secondo molti sondaggi, perderebbe sia contro Hillary Clinton sia contro l’altro democratico Bernie Sanders.
Ted Cruz, senatore del Texas, ha un appeal molto regionale, con uno stile che funziona al Sud del Paese ma molto meno altrove. «Un presidente americano che non comincia la sua giornata in ginocchio non merita di guidare il paese», ha detto Cruz, facendo leva sulle sue radici di cristiano evangelico. Se Trump è imprevedibile e pragmatico, capace di cambiare posizioni rapidamente, Cruz sembra un vero “talebano”, con una visione intransigente di destra che non permette compromessi. La sua fredda e spietata ambizione l’ha fatto detestare in Senato e tra i ranghi del partito. Ecco perché la sua vittoria in uno stato del nord come il Wisconsin ha sorpreso molti esponenti repubblicani. Ma lo scenario più interessante che spunta dal risultato del Wisconsin è la possibilità che nessuno arrivi alla convention repubblicana con una chiara maggioranza di delegati, aprendo alla possibilità di una cosiddetta brokered convention, dalla quale i delegati e i leader del partito potrebbero tirare fuori un altro candidato, un volto nuovo per le elezioni di novembre. Questo è il sogno dei dirigenti del partito da quando Trump ha cominciato a prevalere su avversari come Jeb Bush e Marco Rubio. Il nome più in auge è quello di Paul Ryan, capo dei repubblicani della Camera ed ex designato alla vicepresidenza con Mitt Romney nel 2012. Ryan è sufficientemente di destra ma nel quadro attuale – dominato da Trump e Cruz – sembra un moderato ragionevole, è giovane e ha cercato di formulare una politica libertaria per affrontare i temi della povertà.
Ma la strategia della brokered convention contiene anche forti rischi. Trump persevera nella sua minaccia: se mi negate la nomina alla Casa Bianca nel partito scorrerà il sangue. E certamente una delle forze del fenomeno Trump è stata una potente rabbia dei ceti medio- bassi verso l’establishment del partito accusato di abbandonarli al loro destino una volta preso il potere con i loro voti. Se c’è aria di imbroglio o congiura esiste pure il pericolo che Trump si presenti con un suo partito o che il suo elettorato decida in massa di disertare le urne. Insomma, i repubblicani sono vicini a un bivio decisivo e complicato. Ma oggi la strada di un ripensamento appare meno in salita, dopo la “foratura” di Trump al culmine della sua lunga fuga. E le difficoltà di Hillary Clinton nel distanziare Bernie Sanders, anch’egli vincitore in Wisconsin, dovrebbero incoraggiare il partito repubblicano. Oltre Trump, ci potrebbe essere un altro campione.