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 2016  aprile 07 Giovedì calendario

«Se esistono paradisi fiscali è perché ci sono inferni fiscali». Intervista a Jean-Marie Le Pen, che secondo i Panama Papers ha depositato all’estero lingotti d’oro

Saint Cloud Si sale in auto sulla collina di Saint Cloud che sovrasta Parigi, si digita il codice per aprire il grande cancello, e sulla sinistra ecco il maniero di Montretout: una imponente casa in mattoni rossi, in stile un po’ retro un po’ Psycho, circondata da un parco immenso. Il signore del castello, da quarant’anni, è Jean-Marie Le Pen: nel 1976 l’imprenditore Hubert Lambert, ricchissimo, monarchico e alcolizzato, prima di morire decise di lasciare tutto a quell’uomo che gli sembrava l’unico in grado di salvare la Francia. Fu l’inizio della saga, politica e famigliare.
Un tempo Montretout era il cuore del clan Le Pen: ci abitavano padre e figlie, e qualche metro più in basso nel «Paquebot» c’era la sede del partito. Oggi il Front National si è trasferito a Nanterre e a Montretout non abita più nessuno. Il patriarca, 87enne, continua a usarlo come ufficio dopo la lite con la figlia Marine e l’espulsione dal FN, l’estate scorsa. Arredi stile Impero, velluti affaticati, muri scrostati. Al piano terra, un grande ritratto di Le Pen in divisa da ufficiale. Tra busti e statuette di Giovanna d’Arco ovunque, veniamo accompagnati al primo piano. Jean-Marie ci accoglie nel suo ufficio, vicino al manifesto del nuovo movimento «Jeanne, au secours!» (Giovanna d’Arco, aiuto!) e ai modellini di velieri, omaggio alle origini bretoni e marinare.
Il crepuscolo del leader è tormentato: Le Pen è coinvolto nello scandalo «Panama Papers», il fisco francese lo rincorre, e ieri è stato condannato di nuovo per le frasi sulle «camere a gas dettaglio della storia» e sui Rom da lui definiti «odoranti e urticanti». Jean-Marie Le Pen si siede accanto al camino, spento, e si difende, ancora una volta. Tra proclami e risate, come se niente potesse davvero scalfirlo, ormai.
Ha portato soldi nei paradisi fiscali?
«Nego tutto in blocco».
La sua difesa è che non risponde degli atti del suo uomo di fiducia, Gerald Gerin?
«No, non ho neanche una linea di difesa su questo cosiddetto scandalo di Panama. Non rispondo a insinuazioni, calunnie, pettegolezzi».
Si parla di due milioni di euro, di lingotti d’oro.
«Intanto trovo bizzarro questo ruolo dei giornalisti poliziotti, che si mettono a fare il lavoro dei magistrati. Poi, ci sono 11 milioni di documenti e quello di cui si parla di più sono io? È tutto folklore, con i conti digitali si trasferiscono miliardi con un clic, ma i lingotti colpiscono di più l’immaginazione. A proposito, ma non si era detto che la modernità era la libera circolazione delle persone, dei capitali?».
All’interno dell’Unione Europea, veramente, non verso i paradisi fiscali.
«E perché, in Europa non abbiamo paradisi fiscali? Da Londra a Guernsey al Lussemburgo... Se ci sono dei paradisi fiscali è perché ci sono degli inferni fiscali. La Francia ne è uno, con il 46% di tasso di prelievo. E poi, c’è un’altra cosa che mi sorprende di questa storia di Panama. Che scoperta! Ma pensa un po’, esistono dei paradisi fiscali! Strano però che pochi americani e anglosassoni siano coinvolti».
A dire il vero c’è il premier britannico David Cameron.
«E delle persone vicine a Marine Le Pen. Comunque, finora la gente ha nascosto i soldi, adesso nasconderà anche se stessa. Dopo l’evasione avremo l’emigrazione fiscale».
Un anno fa lei ha ripetuto la frase sulle camere a gas, per questo sua figlia Marine Le Pen l’ha estromessa dal partito da lei fondato, e poco fa per quella frase è stato di nuovo condannato. Non è pentito?
«Io sono un uomo libero. Vogliono che abbassi lo sguardo? Non io, non alla mia età. Noto comunque un’unità di intenti tra Marine Le Pen e i magistrati. La libertà di espressione in Francia è estremamente limitata. Cinquemila euro per un po’ di ironia sui Rom, 30 mila più 10 mila di danni e interessi per la frase sulle camere a gas. E perché non 400 mila euro, già che ci siamo?».
Ce l’hanno con lei, o è lei che se le va a cercare?
«La volontà persecutoria è evidente. Sono oggetto di cinque ingiunzioni fiscali. Sono venuti qui a perquisire il mio ufficio, hanno spaccato la cassaforte, mi hanno sequestrato il computer. Poi c’è la denuncia del Parlamento europeo, che vuole 360 mila euro per il mio assistente che avrebbe lavorato tre settimane su 5 anni. È un mondo in decomposizione, che se la fa addosso mentre i barbari non sono alle porte, sono già entrati. E se questo mondo ha solo me come nemico sono lusingato, meglio della Legion d’onore che ormai danno a tutti. Io sono fiero della mia croce al valore militare, non chiedo altro. Del resto è così che gli americani si sono sbarazzati di Al Capone, non sono riusciti a incastrarlo per i crimini commessi, allora lo hanno condannato per evasione fiscale».
Non si starà mica paragonando ad Al Capone?
«Io come Alfonso? No no, per carità. Assomiglia molto di più ai miei avversari».
Il primo maggio, stavolta senza sua figlia Marine, lei sfilerà come sempre fino alla statua di Giovanna d’Arco, in Place des Pyramides a Parigi. Che cosa dirà ai suoi sostenitori?
«Allarme! Mobilitazione generale! In piedi! (grida, ridendo, ndr). Ormai le manifestazioni si fanno da seduti, roba da pazzi, già quella è un’ammissione di resa».
Come va con sua figlia Marine?
«Il conflitto è politico e non personale, spero. Mi hanno sacrificato per guadagnare consensi, ma il programma del Front National è rimasto tale e quale. In altre parole, si raccolgono voti con le idee di Jean-Marie Le Pen, ma senza Jean-Marie Le Pen».