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 2016  aprile 06 Mercoledì calendario

Turing, l’uomo che craccò Enigma, morì mordendo una mela avvelenata

Morì mordendo una mela avvelenata, come Biancaneve nel film di Walt Disney (anche se la principessa, con un piccolo aiuto da parte dei Sette Nani e grazie al bacio del Principe Azzurro, si ridestò dal suo coma e poi visse per sempre felice e contenta, mentre lui no). Alan Turing, l’uomo che craccò la macchina Enigma mettendo a nudo i segreti militari nazisti, senza contare che senza di lui non saremmo mai entrati nell’era digitale, aveva vinto praticamente da solo la seconda guerra mondiale, ma era gay negli anni Quaranta e Cinquanta, quando l’omosessualità era un reato e al matrimonio tra persone dello stesso sesso non aveva pensato ancora nessuno. Si crede che i russi, per cifrare i loro segreti, si servissero d’una macchina simile a Enigma, ereditata dai servizi segreti hitleriani negli ultimi giorni di guerra, e che per questo, perché i russi continuavano a servirsi d’Enigma, Whitehall tenne segreto il ruolo di Turing e l’esistenza stessa della macchina fino agli anni Settanta. Turing conosceva segreti di stato, di cui era stato lui stesso l’iniziatore, e la sua vita privata era considerata un rischio per la sicurezza naturale. Polizia e servizi segreti non gli toglievano gli occhi di dosso. Fu condannato, per essersi rotolato dietro un cespuglio con un giovane proletario, alla castrazione chimica. O peggio, alla mela avvelenata, che qualcuno lo costrinse a mordere, fu insinuato. David Lagercrantz, continuatore del Millenium di Stieg Larsson, diventata grazie a lui quadrilogia da trilogia che era, racconta la storia attraverso la voce d’un poliziotto che, dopo la morte di Turing, indaga sul perché e il percome.
Yonathan Netanyahu, Lettere, con una premessa e una postfazione di Benjamin e Iddo Netanyauh, liberilibri 2016, pp. 240, 16 euro.
Fratello di Benjamin, primo ministro d’Israele, e di Iddo, medico radiologo (e in un’occasione storico) a Gerusalemme, Yonathan Netanyahu cadde a Entebbe, nell’Uganda di Idi Amin, nel corso del raid per liberare gli ostaggi dell’aereo israeliano dirottato da un commando misto di palestinesi del Fronte popolare per la liberazione della Palestina e di tedeschi della Revolutionäre Zellen, le Cellule rivoluzionarie tedesche, attive fino al 1996. Yonathan Netanyahu guidava l’operazione, di cui il fratello Iddo avrebbe poi raccontato la storia in Entebbe 1976. L’ultima battaglia di Yoni (Libreria Militare Editrice 2009). Era il 4 luglio 1976. Scena: l’aeroporto ugandese. Oltre un centinaio di passeggeri furono caricati su un aereo cargo israeliano, che prese il volo dopo avere sbaragliato i soldati di Idi Amin, ma solo dopo che questi avevano sparato per vendetta sugli ostaggi, alcuni dei quali rimasero uccisi, così come tutti i terroristi. Yonathan Netanyahu, trent’anni, fu il solo militare israeliano colpito a morte dagli ugandesi. Richard Dreyfuss fu «Yoni» Netanyahu in un pessimo film del 1976, La lunga notte di Entebbe. In questo libro, che raccoglie le lettere che Yoni scrisse da ragazzo, c’è quel che spiega l’esistenza d’Israele, a dispetto d’un assedio che dura da settant’anni: un nazionalismo che a noi europei appare inspiegabile, l’eroismo (ai nostri occhi non meno inspiegabile) dei suoi soldati, torti da riparare e una causa forte da abbracciare (noi niente, solo cause deboli, dal matrimonio gay alle trivelle petrolifere, dall’antipolitica al patetismo sociale in tutte le sue sciocche declinazioni).