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 2016  aprile 06 Mercoledì calendario

Banda larga, la guerra tra Telecom e Enel

Domani Enel presenterà il suo piano sulla banda larga, benedetto dal governo, e si aprirà così la partita più difficile per Flavio Cattaneo, il nuovo amministratore delegato di Telecom Italia. Il premier Matteo Renzi si sta impegnando in prima persona a favore di Enel che, in questo momento, equivale a dire che è in battaglia contro Telecom dopo anni nei quali, invece, tutta la strategia del governo era impostata sull’asse tra la Cassa depositi e prestiti, la sua partecipata Metroweb (che ha la fibra di Milano) e, appunto, Telecom Italia.
Ora che all’azienda dei telefoni c’è un vertice con pieni poteri – confermato il presidente Giuseppe Recchi e il nuovo ad Cattaneo – lo scontro inizia a farsi acceso. Il premier imposta la sua strategia sull’ad dell’Enel Francesco Starace: la società elettrica vuole espandersi nell’infrastruttura per le telecomunicazioni anche per compensare le minori opportunità di business nei suoi campi tradizionali (il settore delle rinnovabili non rende più come una volta) e ha una pervasività tale da essere un vero concorrente per Telecom. Nelle aree a “fallimento di mercato” (le cosiddette “C” e “D”), dove non c’è una domanda sufficiente per giustificare un normale investimento privato, Enel parteciperà ai bandi pubblici di Infratel in concorrenza con Telecom e altri operatori. Chi vince sarà remunerato per costruire una rete che rimarrà pubblica.
Nelle aree “A” e “B”, dove invece il mercato c’è, Enel costruirà da sola la sua rete in fibra: visto che deve montare nuovi contatori, porterà direttamente i cavi fin dentro 7,5 milioni di case, secondo il modello Fiber to the home (Ftth), la tecnologia che garantisce la velocità maggiore di traffico. Finora Telecom ha invece privilegiato l’approccio graduale: prima allacciare la fibra ai 150.000 “armadi” in strada (Fiber to the cabinet), conservando la rete in rame per l’ultimo tratto fino alle case, poi, in un secondo momento, prometteva di trasformare in fibra anche l’ultimo tratto.
Nella polemica di questi giorni, tra i dipendenti Telecom comincia a circolare un po’ di inquietudine: se alla fine ci saranno due infrastrutture in fibra, l’azienda avrà ancora bisogno delle 30.000 persone che oggi si occupano di rete? In questi anni Telecom ha sempre chiarito che se potrà decidere in autonomia quando dismettere la rete in rame, il più tardi possibile per non doverla svalutare in bilancio, riuscirà a ridurre in modo graduale il personale senza traumi. Se il governo accelera, invece, ci saranno degli esuberi (va ricordato però che la politica è stata piuttosto generosa con Telecom con i contratti di solidarietà).
L’ad di Enel Starace ha detto in Senato che “la rete elettrica a confronto con quella di telecomunicazioni ha sempre una capillarità maggiore, e non è così solo in Italia. Le cabine elettriche sono più vicine alle abitazioni rispetto agli armadi della linea telefonica. Di qui discendono le nostre considerazioni dal punto di vista dei costi”. E sfida Telecom anche su Metroweb: ora che la Cassa depositi e prestiti guidata da Claudio Costamagna e Fabio Gallia ha rinunciato alla regia della costruzione della banda larga, la partecipata Metroweb è contendibile. Enel ha costituito Enel Open Fiber che si candida a diventare una vera “compagnia della rete”, aperta a nuovi soci (ci sarebbero investitori istituzionali pronti a entrare) e pronta a inglobare Metroweb. Che interessa anche a Telecom, ovviamente. Enel ha appena assunto in Open Fiber Stefano Paggi, che è stato a capo della rete Telecom e si è alleata con Vodafone e Wind per essere sicura di avere la domanda sui cavi che andrà a posare. La sfida è dichiarata: Enel lascia la porta di Open Fiber aperta a Telecom, ma l’azienda di Cattaneo non ci pensa neppure.
Una volta costruita tutta questa banda larga, chi ci guadagnerà davvero? L’Agcom, l’autorità per le comunicazioni, ha avviato una consultazione pubblica, su input europeo. L’Agcom deve stabilire i prezzi della vendita di traffico all’ingrosso nelle aree a fallimento di mercato, dove la fibra la paga lo Stato: l’indicazione della Commissione Ue è che lì il prezzo dovrà essere simile a quello nelle aree dove il mercato c’è. Gli utenti in Basilicata o Sardegna pagheranno circa quanto quelli di Milano. Questo garantirà allo Stato, titolare della rete, di recuperare almeno parte dei costi sostenuti nell’investimento, senza lasciare troppo margine di profitto ai privati. Che però deve esserci, altrimenti nessuno – neppure l’Enel spinta da Renzi – parteciperà alle gare.
L’Autorità guidata da Angelo Maria Cardani deve costruire un equilibrio complesso: un canone di affitto ai gestori (Vodafone, Wind, ecc) troppo basso sarebbe un regalo, uno troppo alto farebbe fallire il progetto. La via di mezzo, con un prezzo finale analogo a quello delle aree dove il mercato c’è, impone a zone con bassa capacità di spesa un costo agli utenti simile a quello delle città più ricche. Col rischio che la domanda sia bassa e la costruzione dell’infrastruttura, alla fine, inutile.
La soluzione potrebbe essere la seguente: lo Stato, tramite Infratel o direttamente le Regioni, recupera una parte dei costi dell’investimento (claw back) in tempi medio-lunghi mentre nel breve periodo incentiva la domanda con dei voucher che riducono il prezzo finale per gli utenti.
Ma prima bisogna capire chi vincerà la guerra tra Telecom e l’asse Enel-Palazzo Chigi.