il Fatto Quotidiano, 6 aprile 2016
La Guidi se n’è dovuta andare non per quello che ha combinato, ma perché s’è fatta beccare
Più passano i giorni e meno si capisce perché Federica Guidi si sia dovuta dimettere in tre ore da ministro dello Sviluppo. Intendiamoci: in base alla nostra idea di etica pubblica, si capisce eccome. Ma questo non è il governo del Fatto Quotidiano: è il governo Renzi. Ed è sull’Etica Rignanea che vanno valutate le dimissioni della Guidi. Mercoledì 31 marzo, subito dopo l’annuncio della ministra in seguito all’uscita della sua telefonata col fidanzato Gianluca Gemelli, il premier le invia dall’America un messaggio pieno di affetto: “Cara Federica ho molto apprezzato il tuo lavoro di questi anni. Serio, deciso, competente. Rispetto la tua scelta personale sofferta, dettata da ragioni di opportunità che condivido… Ti invio un grande abbraccio. Continueremo a lavorare insieme perché l’Italia sia sempre più forte e solida. A presto, Matteo”. A parte l’incomprensibile “continueremo a lavorare insieme” (come? quando? dove? perché?), se ne deduce che la Guidi se n’è andata o è stata cacciata “per ragioni di opportunità”. Cioè per la telefonata del novembre 2014 in cui avvertiva il compagno che il governo (“la Boschi è d’accordo”) si accingeva a riesumare in Senato l’emendamento pro Total cancellato dalla Camera che tanto gli stava a cuore, tant’è che poi Gemelli ottenne da Total un subappalto da 2,5 milioni nell’affare Tempa Rossa. Perciò è indagato per traffico di influenze illecite, avendo speso il nome della fidanzata-ministra presso la Total per lucrarci: il tutto all’insaputa della Guidi, che infatti non è indagata.
Sulle prime si pensa che l’emendamento l’abbia fabbricato la Guidi per fare un favore alla Total e dunque al fidanzato, in palese conflitto d’interessi. Nel qual caso il governo dovrebbe abrogarlo all’istante per decreto. Invece domenica il Fatto scopre che il vero padre dell’emendamento è Renzi in persona che, insieme ai sottostanti Lotti e Boschi, ha recepito gli amorevoli consigli della Total e delle socie Shell ed Eni, col contorno di ambasciatori di Francia e Inghilterra, facendo scrivere la norma ad hoc dal suo capufficio legislativo, l’ex-vigilessa Antonella Manzione. Domenica, a In mezz’ora, è lo stesso Renzi a confermare la notizia (“L’emendamento è roba mia”), anche se non ammette – ci mancherebbe – la marchetta per le Tre Sorelle: dice che esautorare le Regioni Puglia e Basilicata sull’oleodotto Tempa Rossa-Taranto e sull’ampliamento del porto pugliese fu cosa buona e giusta, anzi “strategica” per l’occupazione, il territorio, il Sud, anzi l’Italia, anzi il mondo.
E poi bisogna “sbloccare le opere pubbliche e private” paralizzate da secoli. Non una parola di autocritica per aver nominato ministra dello Sviluppo economico un’imprenditrice del ramo energia e per non essersi neppure informato sui suoi eventuali conflitti d’interessi con le imprese di famiglia, ristretta e allargata al fidanzato nonché padre di suo figlio. La Boschi, che per conto del governo infilò l’emendamento nella legge di Stabilità, ripete il tutto a pappagallo: norma strategica, doverosa, meravigliosa, per il nostro bene. Il governatore pugliese Michele Emiliano dimostra – dati alla mano – alla Direzione Pd che son tutte balle: la sua Regione, con Vendola, non bloccava un bel niente, anzi riconosceva che le compagnie il petrolio estratto in Lucania hanno tutto il diritto di trasportarlo, stoccarlo, esportarlo. Purché mettano mano al portafogli accollandosi le compensazioni ambientali e riconoscendo le royalty alla Puglia, prima vittima del progetto. L’emendamento dunque non sbloccava nulla perché non c’era nulla di bloccato: faceva semplicemente risparmiare un sacco di soldi a Total&C., a tutto danno dello Stato e dei cittadini pugliesi e lucani. Una marchetta, come volevasi dimostrare.
Ma, sia come sia, è evidente che l’emendamento fu voluto non dalla Guidi, ma da Renzi&Boschi: sarebbe passato anche se il ministro dello Sviluppo fosse stato, anziché un’imprenditrice in conflitto d’interessi, una suora di clausura. Quando la Guidi telefona al fidanzato, è per dargli una notizia che di lì a poco sarà di dominio pubblico: l’emendamento riesumato dal governo e approvato dal Parlamento che, secondo il premier, non è un favore alla Total e dunque a Gemelli, ma una norma “strategica” nell’interesse della Nazione. A questo punto è meglio non immaginare cosa sarebbe venuto fuori se i telefoni di qualche ministro (o di qualche suo interlocutore) fossero stati intercettati alla vigilia della legge sulle banche popolari, quando il titolo di Banca Etruria salì alle stelle, come se qualcuno avesse saputo tutto prima.
Ma, se l’emendamento è giusto, anzi doveroso, e non l’ha voluto la Guidi ma è “roba” del premier, dov’è lo scandalo se la ministra ne informa il fidanzato? Certo, dice Renzi, la telefonata è “inopportuna”. Ma è pure inopportuno far gestire alla Boschi (che ogni tanto esce dal Consiglio dei ministri e ogni tanto no) le nuove norme sulle banche, con quel popò di genitore in Etruria. Ed è inopportuno che Alfano e Bubbico, indagati per aver trasferito (al telefono o di persona?) il prefetto di Enna che minacciava di commissariare la cosiddetta università Kore, guidino il ministero dell’Interno; che Castiglione, inquisito per turbativa d’asta sul Cara di Mineo, sia viceministro dell’Agricoltura; e che De Filippo, indagato per Rimborsopoli e appena beccato a far assumere il figlio della sindaca arrestata per lo scandalo Tempa Rossa, sia sottosegretario alla Sanità.
Eccola allora l’Etica Rignanea: la Guidi se n’è dovuta andare non per quello che ha combinato, ma perché s’è fatta beccare.