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 2016  aprile 06 Mercoledì calendario

Quanto vale davvero il petrolio italiano

Jacopo Giliberto per Il Sole 24 Ore
L’area petrolifera più produttiva d’Italia (e dell’Europa continentale) è la Basilicata: oggi il suo sottosuolo rappresenta i due terzi, il 69%, del greggio estratto in Italia. E quando partirà il giacimento Tempa Rossa si aggiungeranno 50mila barili al giorno.
 I conti aggiornati dicono che la Basilicata, la regione i cui giacimenti sono al centro di un’inchiesta giudiziaria di forte risonanza, l’anno scorso ha estratto dal sottosuolo 3,75 milioni di tonnellate di petrolio e 1,49 miliardi di metri cubi di metano.
È molto, rispetto all’intera produzione italiana di 5,44 milioni di tonnellate e 6,88 miliardi di metri cubi. In termini percentuali, la Basilicata rappresenta il 69% del petrolio estratto in Italia e il 22,9% del metano.
È poco, briciole impalpabili, rispetto alla domanda di benzina, gasolio e metano che gli italiani hanno ricominciato a bruciare furiosamente dopo un ventennio di calo. La Basilicata è un’area petrolifera importantissima rispetto all’offerta italiana ma minima rispetto ai consumi.
Nel 2015 gli italiani hanno bruciato 67,52 miliardi di metri cubi di metano, con una crescita furibonda del 9,1% rispetto al 2014, ma i nostri giacimenti di gas hanno ridotto l’estrazione del 5,3% e i 6,77 miliardi di metri cubi estratti dal sottosuolo nazionale soddisfano ormai appena il 10% della domanda di gas. Di conseguenza i lunghissimi metanodotti che ci fanno arrivare il gas hanno aumentato il trasporto, +9,8%, pari a 55,7 miliardi di metri cubi nel 2015.
Il peso della Basilicata sul fabbisogno petrolifero italiano così s’aggira attorno al 6%. Si tratta di un’indicazione approssimata. Per esempio una parte del greggio, che viene estratto dai giacimenti lucani della Val d’Agri ed è portato dal Centro oli di Viggiano fino alla raffineria Eni di Taranto, non resta in Italia ma viene imbarcato sulle petroliere per viaggiare nel mondo. 
Il peso di Tempa Rossa 
Oggi la produzione della regione, che ha i giacimenti più grandi della terraferma europea, si concentra sui giacimenti dell’Eni nella val d’Agri attorno al polo di Viggiano, anch’esso al centro dell’inchiesta della magistratura di Potenza.
Il valore petrolifero dei giacimenti della Basilicata salirà in modo rilevante quando sarà in produzione (quando lo sarà?) il giacimento di Tempa Rossa, quello della Total in associazione con i soci di minoranza Mitsui e Shell. Anche questo è sotto inchiesta.
Tempa Rossa non è ancora in produzione. Vi sono stati scavati alcuni pozzi esplorativi che hanno saggiato la consistenza del giacimento ma non hanno ancora avviato l’estrazione di metano e petrolio. Ma quando l’intero giacimento sarà in attività si stima una produzione di 50mila barili al giorno (l’Italia oggi ha riserve per circa 600 milioni di barili). Cioè circa il 40% della produzione italiana di petrolio. E poi 230mila metri cubi di metano, 240 tonnellate al giorno di Gpl (propano e butano). E infine ne usciranno, dopo la lavorazione nel Centro oli in costruzione a Tempa Rossa, 80 tonnellate quotidiane di zolfo puro, quello zolfo che contamina il greggio. 
Nuovi giacimenti 
In termini di valore delle royalty, la Basilicata ha ricavato circa 150 milioni, un valore che oscilla di continuo perché è legato alle quotazioni del mercato. Nel 2014 il petrolio costava tre volte tanto rispetto a oggi, attorno ai 100 euro al barile (un barile è pari a 159 litri), e quindi le royalty erano assai più appetitose.
Mentre si prepara il referendum sulla durata delle concessioni delle piattaforme nelle acque territoriali, referendum cui saranno chiamati gli elettori fra una decina di giorni, domenica 17 aprile, vi sono molte attenzioni su altre aree petrolifere. È il caso del giacimento di Ostellato (Ferrara), che nelle settimane scorse ha ricevuto il via libera ambientale. Nel dettaglio il ministero dell’Ambiente, insieme con i Beni culturali, ha approvato il progetto della piccola compagnia statunitense Ale Anna per fare una perforazione di prova nella Bassa ferrarese, in località Corte dei Signori, per vedere se c’è il grande giacimento di metano che i geologi hanno ecografato dalla superficie.
La radioattività naturale 
Problemi invece incontra la compagnia Irminio per un vecchio pozzo che ha rilevato e riattivato a Santa Croce di Magliano, in Molise. Allarme dei comitati nimby, che contestano il progetto: c’è radioattività, dicono in molti, segno che sono state smaltite scorie radioattive. Ed è arrivata la magistratura. Ma le rilevazioni dicono che quella radioattività è presente attorno al pozzo, nelle vicinanze del pozzo, nelle lontananze del pozzo, nelle case, negli alberi e in tutta la zona: è una caratteristica naturale dell’intera area, i cui terreni sono carichi di isotopi da milioni d’anni.

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Mario deaglio per La Stampa
Nell’intricata vicenda del petrolio lucano, c’è qualcosa che lascia perplessi ed è la sproporzione tra la rilevanza economica e gli effetti politici. A livello globale, il giacimento di Tempa Rossa, ottimisticamente definito «Texas d’Italia», è del tutto irrilevante: a regime è previsto che produca 50-70 mila barili al giorno, per di più di bassa qualità. Certo, è una parte importante della produzione italiana (circa 170 mila barili al giorno) ma una minuscola porzione di quella europea (4 milioni di barili al giorno) e trascurabile a livello mondiale (circa 95 milioni di barili al giorno). È minima anche l’importanza sull’occupazione: nell’annuale relazione della Total, che gestisce le operazioni a Tempa Rossa, i dipendenti sono indicati in 144 su un totale di oltre 100 mila nel mondo.


L’eventuale estrazione dall’Adriatico – sulla quale è del tutto ragionevole avere qualsiasi opinione – non sposterebbe l’ordine di grandezza, portando al massimo al 10-12 per cento (dall’attuale 7 per cento) l’incidenza della produzione italiana sul fabbisogno italiano di greggio. Fermo restando il discorso giuridico e morale su eventuali corruzioni e malversazioni, è difficile immaginarsi un esercito di lobbisti internazionali che si precipita nei corridoi parlamentari per influenzare le decisioni sul petrolio italiano. Si tratta, insomma, di una buccia piuttosto piccola per il governo: se vi scivolerà sarà per altri motivi ai quali l’estrazione del petrolio lucano avrà fatto da conveniente paravento.
Guardando l’albero, ci dimentichiamo della foresta. Affascinati dal «Texas d’Italia», ci siamo scordati che in pochi anni il panorama degli idrocarburi nel Mediterraneo è radicalmente cambiato, in buona parte grazie all’Eni: nell’agosto 2015 venne annunciata la scoperta, precisamente da parte dell’Eni, di un gigantesco giacimento di gas – al quale fu dato il nome di Zohr – nel mare egiziano, al largo di Porto Said (la sua potenzialità è pari a circa centomila volte la produzione annuale di Tempa Rossa). E sotto il giacimento Zohr ci potrebbe essere altro petrolio. Nel febbraio 2016 la gestione del giacimento è stata affidata all’Eni dal governo egiziano e si stanno scavando i primi pozzi di esplorazione. 
La produzione effettiva potrebbe essere avviata in tempi molto rapidi e già nel 2017 il gas estratto potrebbe sia ribaltare il quadro energetico dell’Egitto sia portare risorse rilevanti al bilancio pubblico italiano (dal momento che Cassa Depositi e Prestiti e Mef detengono complessivamente quasi un terzo delle azioni dell’Eni). È probabile che, nell’esecuzione del suo piano industriale, l’Eni «alleggerisca» la propria quota, come è d’uso tra grandi produttori mondiali, mantenendo però la maggioranza e la direzione esecutiva del progetto. In questo contesto, le relazioni tra l’Italia e l’Egitto acquistano un particolare significato nel quale si inquadra il caso Regeni: Roma e Il Cairo non possono condividere uno dei più grandi progetti industriali della loro storia senza condividere anche valori e principi giuridici.
Alla luce di questi sviluppi, gli orizzonti limitati, per non dire meschini, di buona parte della politica italiana appaiono in tutta la loro dura realtà: vogliamo sapere tutto di Tempa Rossa, non ci interessa quasi nulla di Zohr. La tattica politica ci attira più della strategia dell’industria, ciò che succederà nel prossimo referendum del 17 aprile più di quanto potrà succedere nei prossimi 17 anni al Paese. Se andremo avanti su questa strada, la storia italiana continuerà a essere – come è in gran parte stata negli ultimi vent’anni – una storia di occasioni mancate. O meglio, rifiutate.