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 2016  aprile 06 Mercoledì calendario

Caso Regeni, Gentiloni all’Egitto: «Senza svolta misure immediate» • Ora Gemelli non è più «il marito» della Guidi • L’indagine sui tumori in Basilicata • Lo scandalo Panama Papers fa dimettere il premier islandese • L’uomo che ha accoltellato l’ex

 

Regeni 1 L’annuncio che l’Italia assumerà «misure immediate se non ci sarà un cambio di marcia» — pronunciato ieri in Parlamento dal ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, sulla mancata collaborazione per le indagini sull’omicidio di Giulio Regeni — ha innescato una risposta in due tempi, e scomposta, da parte dell’Egitto: prima il portavoce del ministro degli Esteri del Cairo ha detto che ora «con il discorso di Gentiloni le cose si complicano»; poi è arrivata la rettifica direttamente dal presidente Al Sisi che, davanti ai delegati dell’Associazione dei parlamentari della Nato, ha parlato di «determinazione dell’Egitto a continuare la sua piena cooperazione con la parte italiana con assoluta trasparenza per chiarire le circostanze dell’uccisione di Giulio Regeni e per processare i criminali». Il presidente Al Sisi, è stato precisato al Cairo, come a smentire la prima reazione a caldo, ha parlato in presenza del ministro degli Esteri, Sameh Shoukry. E oggi arriva a Roma una delegazione di inquirenti egiziani guidata dal sostituto procuratore generale, Mustafa Soliman, che fino a sabato ha in programma incontri con il procuratore di Roma Giuseppe Pignatone e gli investigatori italiani (Martirano, Cds).

Regeni 2 A poco più di due mesi dal ritrovamento del corpo martoriato di Giulio Regeni c’è una svolta nel governo egiziano, come se negli ultimi giorni fosse maturata al Cairo la volontà di collaborare seriamente con l’Italia alla ricerca della verità o di una parte di essa. La delegazione di inquirenti attesa oggi a Roma dovrebbe portare non solo l’annunciato faldone di duemila pagine sul ricercatore friulano ma almeno un nome, l’indicazione di una responsabilità che stavolta non condurrebbe a improbabili gang criminali o strampalati fuori pista bensì ad apparati del regime stesso. Una fonte al Cairo suggerisce che il nome da «sacrificare» potrebbe essere quello del generale Khaled Shalaby, l’alto ufficiale della sicurezza nazionale incaricato del caso Regeni già condannato nel 2003 da un tribunale di Alessandria per aver torturato a morte un uomo e falsificato i rapporti della polizia ma reintegrato dopo la sospensione della sentenza (Paci, Sta).

Guidi Federica Guidi definiva Gianluca Gemelli «l’uomo che considero a tutti gli effetti mio marito» ma ieri, a sole 48 ore dall’interrogatorio dai magistrati di Potenza, che domani le chiederanno conto di quelle telefonate intercettate è arrivata la brusca frenata. Né «marito», né compagno, né fidanzato. Federica Guidi «sta verificando il ruolo di Gianluca Gemelli, padre di suo figlio ma con il quale non ha mai convissuto», scrive l’Ansa citando una sua amica. Da tempo «si vedono solo ogni sette-quindici giorni». E con Gemelli «non ha interessi comuni, non ha conti cointestati ed ha sempre provveduto lei e la sua famiglia alle necessità del figlio». nelle intercettazioni si sente spesso la Guidi avere momenti di cedimento, fino ad accusare Gemelli: «Mi stai usando». La Procura ha smentito che alludesse all’emendamento, ma in altre si sente il ministro che piange. Le telefonate in cui lui fa pesare la caratura della sua relazione con imprenditori e manager sono molte, troppe. Grazie al suo rapporto affettivo, si presentava come facilitatore in questioni complesse. Prima di tutto l’emendamento cosiddetto «sblocca-Tempa Rossa». Quello che, con una modifica allo Sblocca Italia rendeva la vita molto più facile alla Total per stoccare, trasportare, caricare nei porti e trasferire, il petrolio estratto e i suoi rifiuti. Giacché faceva valere i «superpoteri» delle opere strategiche anche sui terreni al di fuori dell’area delle concessioni. Leggi anche Taranto. E poi gli affari nel porto di Augusta. Per questo ora che lui è accusato di aver fatto parte di un’associazione a delinquere per accaparrarsi affari ci si chiede se la retromarcia affettiva della Guidi sia strategia difensiva o delusione personale (Piccolillo, Cds).

Tumori Il Noe, nucleo operativo ecologico dei Carabinieri, ha sequestrato migliaia di cartelle cliniche negli ospedali lucani per accertare se i fanghi tossici pericolosi smaltiti come semplici rifiuti e finiti nelle falde acquifere della Basilicata siano all’origine di patologie gravissime (tumori allo stomaco e al rene, linfomi di Hodgkin, leucemie) e di morti. Cosa che cittadini e associazioni denunciano invano da anni. Il filone più spaventoso dell’indagine della procura di Potenza sul petrolio è quello che ipotizza la possibilità che, per risparmiare sui costi dello smaltimento al Centro Oli dell’Eni di Viggiano, ma non solo, si sia prodotto un disastro ambientale. Approfittando dei controlli affidati per molti aspetti agli stessi inquinatori e con la complicità di istituzioni preposte alla salute pubblica. Ieri a Potenza si è svolto l’interrogatorio di garanzia dei quattro dirigenti dell’Eni (Roberta Angelini, Nicola Allegro, Antonio Cirelli e Luca Bagatti) ai domiciliari da giovedì scorso. E del quinto, Vincenzo Lisandrelli, che è stato interrogato per delega a Gela. Gli stessi che nelle intercettazioni, a vario titolo, operano per manipolare i codici dei rifiuti e dare il via alla catena tossica, nascondono gli allarmi ricevuti dalla control room e le emissioni tossiche dei camini. L’Eni smentisce. «Non siamo avvelenatori», dichiara l’ad Claudio Descalzi che chiederà il dissequestro dell’impianto di Viggiano. «Su ambiente e acque siamo tranquilli» assicura. Ma negli ultimi dieci mesi gli sono state notificate tre sanzioni proprio per il superamento delle concentrazioni delle soglie di contaminazione (Csc). L’ufficio ambiente della provincia di Potenza ha contestato all’Eni la violazione dell’articolo 304 del decreto legislativo 152/2006, testo unico ambientale. Altre due, analoghe, sono state comminate alla Total, nel sito di Tempa Rossa, ancor prima di iniziare l’estrazione, nella fase di costruzione del centro oli, per avere inquinato le acque sotterranee (ibidem).

Panama Papers 1 Prima conseguenza politica dello scandalo mondiale «Panama Papers»: le dimissioni del premier islandese Sigmundur Gunnlaugsson, 41 anni. Il giornalista diventato primo ministro aveva ripetuto in televisione agli ex colleghi dell’Icij (il Consorzio internazionale di giornalisti investigativi) «state cercando di rendere sospetto qualcosa che non lo è», a proposito della sua società Wintris basata nelle Isole Vergini britanniche. Gli islandesi, invece, si sono convinti che di sospetto c’era molto, e in 20 mila di loro (una cifra enorme, in un Paese di neanche 320 mila abitanti) sono scesi in piazza lanciando uova e skyr (lo yogurt islandese) davanti al Parlamento di Reykiavik. E ieri il premier si è dimesso (Montefiori, Cds).

Panama Papers 2 Le ricerche del Guardian hanno messo in difficoltà lo stesso premier britannico, David Cameron, che il mese prossimo dovrebbe presiedere a Londra un vertice anti-corruzione. Secondo il quotidiano, Ian Cameron — il padre del primo ministro — dirigeva un fondo di investimenti basato alle Bahamas che per trent’anni non ha pagato una sterlina al fisco britannico grazie ai servizi della Mossack Fonseca. Cameron padre è morto nel 2010 lasciando agli eredi 2,74 milioni di sterline, di cui 300 mila (375 mila euro) al figlio David. Al di là della questione di immagine, il punto è sapere se la fortuna della famiglia Cameron sia ancora custodita nel fondo offshore (ibidem).

Panama Papers 3 L’ombra sospetta dell’uso di aziende offshore per evadere il fisco e riciclare denaro si è estesa sui profili della famiglia Le Pen in Francia, sul neopresidente della Fifa Gianni Infantino e sul movimento populista Podemos in Spagna. Le Pen, il fondatore del Front National e padre di Marine, avrebbe accumulato nei Caraibi un tesoro di banconote, lingotti e monete d’oro. Tutto intestato al maggiordomo. Nelle carte c’è anche Marine: il denaro passava da Hong Kong e Singapore prima di arrivare a Panama, grazie a una società fittizia costituita da un suo ex compagno d’università. Come in Francia, anche in Spagna un pubblico fustigatore della moralità collettiva è in difficoltà. Il fondatore del movimento Podemos Pablo Iglesias che in questi giorni tratta per la nascita del governo ha ricevuto attraverso una fondazione 7 milioni di euro dal Venezuela per «favorire un governo in Spagna più affine con i valori della rivoluzione bolivariana», e tanto di firma di Hugo Chávez sui documenti. Un altro cliente dello studio sarebbe stato il nuovo numero uno della Fifa: quando era capo dei servizi legali della Uefa avrebbe avuto un ruolo negli accordi sui diritti tv affidati ad alcune società offshore. I documenti riservati stanno per piombare anche sull’Italia: i clienti interessati sarebbero circa 800 (Pagliaro, Sta).

Delitto Monica De Rossi, 47 anni. Nata a Verona, proprietaria di un’agenzia immobiliare a Grisignano (Vicenza), madre di tre figli, due dall’ex marito, uno da un altro compagno, per qualche mese aveva avuto una relazione con un Davide Tomasi di anni 37, istruttore in una palestra a Campodoro (Padova) avviata dodici anni fa con un socio. Costui, di poche parole, fino a qualche anno fa partecipava ai campionati veneti di bodybuilding, lavorava anche nell’azienda edile di famiglia, amava collezionare modellini di aerei e costruiva droni. La scorsa estate l’aveva lasciato ma lui continuava a mandarle messaggi e a farle piccoli regali. Giorni fa la chiamò con la scusa che gli serviva una casa col giardino per il cane, si diedero appuntamento in una villetta ancora da completare e mentre lei gliela faceva visitare lui, sorprendendola alle spalle, le ficcò un pugnale da combattimento nella schiena. Quindi trascinò il cadavere in uno sgabuzzino, chiuse la porta a chiave, e si iniettò una massiccia dose d’insulina senza però riuscire a morire (trovato in coma, ora è fuori pericolo in ospedale). Primo pomeriggio di lunedì 4 aprile a Poiana di Granfion, frazione di Grisignano di Zocco, provincia di Vicenza.