la Repubblica, 6 aprile 2016
Le Pen, Cameron & co. I Panama Papers hanno inguaiato mezzo mondo
Da Marine Le Pen alle banche tedesche, le rivelazioni dei Panama Papers mettono nei guai mezza Europa. In Francia la leader del Front National deve rispondere del “tesoro” del padre Jean–Marie, fondatore del partito, occultato secondo Le Monde in una società caraibica. In Germania, si scopre che sei delle sette maggiori banche nazionali, parte delle quali salavate con fondi pubblici durante la crisi, operavano nel paradiso fiscale del Centroamerica. Sotto pressione nel Regno Unito il premier David Cameron: «Non possiedo conti né fondi offshore», ha detto, glissando però su quelli gestiti dal padre Ian, finanziere deceduto nel 2010. Le autorità fiscali ucraine hanno annunciato un’indagine sul presidente Petro Poroshenko, sospettato di aver evaso milioni di dollari di tasse attraverso società nei paradisi fiscali. In Russia e in Cina i media censurano la vicenda, con il Cremlino che nega il coinvolgimento di Putin. Intanto negli Stati Uniti il presidente Barack Obama ha presentato le nuove norme del Tesoro che rendono più difficile per le aziende stabilire la propria sede all’estero alla ricerca di vantaggi fiscali, la cosiddetta tax inversion, esortando il Congresso a maggioranza repubblicana a approvarle: «Lo scandalo del Panama Papers mostra come l’elusione fiscale è un problema globale. Le grandi aziende non possono giocare con regole diverse rispetto al resto degli americani».
Cameron si difende “Non ho azioni, vivo di stipendio”
All’inizio Downing street ha provato a liquidarla come “una questione privata”. Ma il coinvolgimento del defunto padre di David Cameron nello scandalo dei Panama Papers è presto diventato un tornado che minaccia seriamente il futuro del premier britannico. Ieri mattina tutti i giornali, lo hanno messo sotto accusa, chiedendogli di chiarire se anche lui e la sua famiglia beneficiano o hanno beneficiato dai conti off-shore dello studio Mossack Fonseca ai Cairabi. Poco dopo il leader laburista Jeremy Corbyn ha proposto un’indagine pubblica sui possibili evasori fiscali in Gran Bretagna legati alla vicenda, indagine che dovrebbe comprendere anche “il primo ministro e la sua famiglia”.A questo punto, a un comizio a Birmingham, assediato dai giornalisti, Cameron non si è potuto esimere dal rispondere: «Non possiedo azioni, fondi o titoli», ha detto, «vivo del mio stipendio di premier, sono proprietario della casa in cui abitavo prima di trasferirmi a Downing street, non ho altro». In seguito, tuttavia, un portavoce ha aggiunto che la first-lady Samantha Cameron ha un certo numero di azioni ereditate dal padre. E il Guardian, analizzando le sue parole, sottolinea che Cameron si è attentamente astenuto dal precisare se ha investito dei soldi in conti off-shore in passato o se ne sarà in qualche modo beneficiario in futuro. Non tutto insomma è stato chiarito. Con mezzo partito in rivolta per la sua posizione a favore del restare nell’Unione Europea nel referendum del giugno prossimo, il sindaco di Londra Boris Johnson che scalpita per prendere il suo posto e la minacciata chiusura delle acciaierie britanniche che rappresenta un altro motivo di imbarazzo, il primo ministro non è mai stato tanto in difficoltà da quando ha assunto il potere sei anni fa. Il mese prossimo Cameron ospita a Londra un summit internazionale sulla lotta alla corruzione che doveva dimostrare il suo impegno contro i paradisi fiscali, inclusi quelli caraibici che sono possedimenti del Regno Unito. Ora il sospetto di elusione fiscale raggiunge anche lui.Enrico Franceschini
I “pacchetti” esteri offerti dalle banche salvate dallo Stato
A molti clienti, le principali banche tedesche offrivano il pacchetto completo offshore: una società di comodo a Panama e un conto in banca in Svizzera o Lussemburgo. Negli ultimi anni, quattordici istituti tedeschi hanno fondato o gestito per conto dei clienti circa 1.200 società anonime. Ma in tutto, le banche con sede in Germania menzionate nei Panama Papers sono ventotto. E scorrendo i nomi è chiaro che si tratta di quelle più importanti; a parte Deutsche Bank e Commerzbank, nella lista figurano Hypovereinsbank, Dz Bank, Ubs Deutschland, Berenberg, HSH Nordbank, varie Landesbanken. Sei delle sette banche tedesche maggiori operavano nel paradiso fiscale del Centro America. E molte di esse sono parzialmente pubbliche o salvate con montagne di soldi dei contribuenti, durante la Grande Crisi. Qualche commentatore tedesco parla, perciò, di «fiducia tradita».Certo, aprire un conto offshore non un’attività illegale in sé, ma spesso le società anonime parcheggiate a Panama servono a coprire attività illegali o evadere le tasse. Lo dimostra un altro caso clamoroso che sta emergendo dalla più grande fuga di dati della Storia: Siemens. Dopo lo scandalo dei fondi neri in Sudamerica, dalle carte emerge che alcuni manager non hanno mai rimpatriato quei soldi; li hanno semplicemente spostati a Panama.Il governo si dice scandalizzato. Il ministro delle Finanze Schaeuble, impegnato in realtà da anni ad aumentare la pressione internazionale nei confronti dei paradisi fiscali o dell’elusione fiscale delle multinazionali, ha detto che i Panama Papers «aumentano la pressione per eliminare gli illeciti». Prima degli incontri di primavera a Washington del Fondo monetario internazionale, il ministro cristianodemocratico vuole presentare proposte ulteriori per combatterli. Scatenata anche la Spd. Il vice cancelliere Gabriel vuole addirittura abolire le società di comodo e chiede azioni concrete contro il riciclaggio, il ministro della Giustizia Maass vuole accelerare sul registro della trasparenza per le società offshore.
Tonia Mastrobuoni
L’amico d’infanzia e il maggiordomo inguaiano la destra
È uno degli uomini più vicini a Marine Le Pen, fidato consigliere comunicazione durante la campagna elettorale del 2012. Secondo le Monde, Frédéric Chatillon titolare della società Riwal ha portato all’estero 316mila euro a Singapore, via Hong Kong, le Isole Vergini, e la consulenza dello studio Mosseck Fonseca. Nei “Panama Papers” appare anche Nicolas Crochet, contabile che pure ha collaborato in passato con il Front National. La vicenda citata dal quotidiano francese è in parte nota: Chatillon e Crochet sono già indagati dai magistrati per sospetto finanziamento illegale del Fn. L’utilizzo del “sofisticato sistema offshore” da parte di suoi fedelissimi, come scrive il quotidiano francese, rischia di mettere nei guai la candidata all’Eliseo che si presenta come la paladina senza macchia contro la “casta” e il “sistema”. «Una manovra per infangare il Front National» ha commentato il vicepresidente Florian Philippot, ricordando che Chatillon non è dirigente del partito. Ex leader del gruppo di estrema destra Gud, amico di Marine Le Pen dai tempi dell’università, Chatillon è attivo negli affari anche in Italia. «È un investimento legale in Asia» si è giustificato lui. Il quotidiano francese rivela inoltre una società offshore intestata a Gérald Gérin maggiordomo di Jean-Marie Le Pen, sospettato di essere un prestanome del patriarca dell’estrema destra. Un conto su cui sarebbero nascoste banconote, lingotti e monete d’oro per 2,2 milioni di euro. Le Pen senior ha smentito ieri e minacciato querela contro le Monde.
Le rivelazioni dei Panama Papers toccano anche il settore finanziario. Societé Générale è tra le prime cinque banche con il numero più alto di conti offshore attraverso lo studio Mossack Fonseca: ben 979 società controllate dalle filiali in Svizzera, Lussemburgo, Bahamas. I vertici del gruppo sono stati convocati ieri sera dal ministro delle Finanze, Michel Sapin. Il governo francese ha comunicato che Panama sarà di nuovo inserita sulla lista dei paradisi fiscali dopo che ne era uscita grazie a un accordo quattro anni fa.
Anaïs Ginori