MilanoFinanza, 5 aprile 2016
Il dopo-Bazoli a Banca Intesa e la fine del capitalismo di relazione. Attenti a esultare
Mentre ci si prepara all’assemblea annuale che Intesa Sanpaolo terrà il 27 aprile e dopo il successo della lista di minoranza nell’assemblea di Ubi banca di sabato 2, si è in attesa di verificare quel che accadrà per Intesa, alcuni commenti si esercitano nel presentare l’avvicendamento tra Giovanni Bazoli e Gian Maria Gros Pietro al vertice di Ca’ de Sass come la fine del capitalismo di relazione e l’inizio di una nuova era, evidentemente nella quale trionferanno la concorrenza, la trasparenza, il libero mercato, l’assenza di incroci azionari e di piramidi societarie. La palingenesi si rafforzerebbe con l’elezione di Vincenzo Boccia alla guida di Confindustria.
Siamo in presenza di un classico, e nella migliore delle ipotesi ingenuo, wishful thinking, innanzitutto perché le premesse sono infondate e poi perché non si vedono queste praterie di competitività e di innovazione che si potrebbero aprire. Bazoli ha costruito la prima banca italiana in oltre un trentennio di intensa attività, altamente professionale, al vertice di istituti di credito; non ha mai sottoposto il conseguimento di risultati propri dell’arte del banchiere a valutazioni politiche o di rapporti di potere. Il capitalismo di relazione, che ha un sapore negativo, non si sarebbe potuto combinare con questa opera di costruzione. Se per relazioni si intende il rapporto che un banchiere deve avere con i risparmiatori e i prenditori di credito, potenziali ed effettivi, con la società civile e con il contesto economico e istituzionale, allora non avere tali relazioni, vivere nel vuoto pneumatico, pensare di stare in una torre eburnea, sarebbe un grande demerito per un banchiere, non certo un merito. Non trascurare valutazioni di carattere generale, considerare gli interessi collettivi nelle grandi operazioni, senza mai, però, deprimere i ritorni aziendali, ma sapendo che un eventuale più ampio inquadramento delle attese di questi ultimi li rafforza e li migliora è senz’altro un comportamento meritorio (demeritevole sarebbe il contrario). Ritenere che la bussola dell’agire, ai diversi livelli e con le differenti responsabilità, si dovrebbe orientare verso un capitalismo temperato come Bazoli ha detto a volte, anziché verso il capitalismo dell’homo homini lupus, è un apprezzabile tratto distintivo; anzi, è l’obiettivo che le crisi economiche e finanziarie e la dura esperienza che esse hanno imposto additano sempre più come da perseguire. Si tratta di caratteri che sarebbe bene non disperdere dopo che uno degli ultimi veri banchieri passa il testimone. Einaudi voleva che i banchieri fossero «senza aggettivi», non vicini, nell’esercizio della loro missione, né alle forze politiche né alle forze economiche. Non sono opportune vicinanze governative come quelle che si fanno forzatamente calare dall’alto su Gros Pietro che all’indubbia competenza e cultura unirà la gelosia dell’autonomia sua e della banca presieduta. In ogni caso è essenziale la distinzione netta tra quel che il banchiere fa nel suo ruolo e il modo in cui ritiene di agire come semplice cittadino. È significativo come la lezione bazoliana sia stata recepita da un assai valente manager, Gaetano Miccichè, neo presidente di Banca Imi, anch’egli del gruppo Intesa. Miccichè, in questi giorni, ha sostenuto che una banca è grande se è capace di restare rigorosamente coerente con gli obiettivi della propria missione e in specie del piano industriale, al tempo stesso dandosi carico di una valutazione di interesse generale nonché di essere in grado di creare valore per gli azionisti, ma anche per il sistema. Formuliamo sentiti auguri a Bazoli e a Gros Pietro, all’uno, nel riconoscimento di quel che ha fatto di assai importante ben meritando del sistema e del Paese, per ciò che continuerà a fare, all’altro per il nuovo percorso che sta per intraprendere, all’altezza di una tradizione che non è affatto al crepuscolo. Le auspicate innovazioni sul piano della concorrenza e del libero mercato, degli ordinamenti e delle politiche, richiederanno un’opera di lunga lena, innanzitutto a livello europeo, a cominciare proprio dalle regole del credito e dal deciso raddrizzamento di un instabile, monco, inadeguato progetto di Unione bancaria. Solo con una forte innovazione nella regolamentazione bancaria e finanziaria si potrà evitare che, sotto mentite spoglie, rinascano convergenze dubbie non più allocate in salotti buoni – che si ritengono chiusi – ma operanti con altri sistemi, a partire dagli intrecci azionari e dai patti, che producono gli stessi risultati dei metodi che ora si vorrebbero considerare superati. Intanto dall’assemblea di Intesa Sanpaolo potremo dedurre il peso che nel futuro non lontano potranno avere i fondi nella definizione della governance.