Corriere della Sera, 5 aprile 2016
La crisi dei call center (e dei precari a rischio)
Ventinove centesimi al minuto. Diciassette euro l’ora. «Un prezzo insostenibile», dicono i sindacati. Da Poste Italiane ed Enel, committenti del servizio, le verifiche sono in corso. Gli interrogativi sono tutti su una piccola società di Reggio Calabria che sta “sparigliando” il settore dei call center, offrendo sconti intollerabili per qualunque altro operatore. La società in questione si chiama System House. Dicono si presenti alle gare sbaragliando qualunque altro rivale perché sfrutterebbe i generosi incentivi della legge di Stabilità, che permette fino a 8 mila euro in meno di contributi per chi assume nuove risorse. In questo modo System House avrebbe assunto a dicembre circa 200 persone, prevedendo di aggiudicarsi due (dei 4) lotti del servizio clienti di Poste e un lotto di Enel. Due colossi partecipati dal ministero del Tesoro che hanno deciso di premiarla per aver presentato l’offerta economicamente più vantaggiosa. Dai quartieri generali di Poste ed Enel segnalano che la gara è ancora in fase di pre-aggiudicazione. System House è risultata prima nelle graduatorie, certo. Nulla di più. Peccato che Gepin Contact, che finora gestiva il call center di Poste, stia per licenziare 500 persone tra Napoli e Roma per aver perso una delle commesse più importanti. E che lo stesso stia facendo Almaviva che ha comunicato la mobilità per 3 mila persone (di cui soltanto 1.700 a Palermo), ma dall’altro cerca collaboratori a progetto per l’outbound (quando l’operatore chiama il cliente per recapitargli delle offerte). D’altronde la “clausola sociale”, che permette la salvaguardia occupazionale degli addetti, è diventata legge ma deve ancora essere inserita nel contratto nazionale delle tlc. In sostanza l’obbligo di riassumere i lavoratori in esubero è condizionato ad un accordo tra le parti. Cioè l’azienda committente e i sindacati. Nel caso di System House ciò sarebbe impossibile. L’azienda ha solo una sede a Reggio Calabria e non può certo aprirne a Roma, Napoli e Palermo soltanto per salvare posti di lavoro. Né può chiedere trasferimenti di massa a Reggio Calabria, considerando gli stipendi del terzo livello del contratto delle tlc: 1.100 euro full time, 700 part-time, in media. Soldi che scoraggiano qualunque tentativo di costruirsi una vita altrove.
Nel ginepraio si segnala il tentativo del viceministro dello Sviluppo, Teresa Bellanova. Ha proposto alle aziende committenti di premiare le realtà che rispettano il criterio della territorialità del servizio. Cioè si aggiudica i lotti solo chi opera in Italia, non chi delocalizza in Albania. Ciò che sorprende è che l’articolo 24bis di un decreto del 2012 sia inatteso da quasi 4 anni. Prevede la possibilità per l’utente di scegliere da chi farsi rispondere. Può preferire di colloquiare con un operatore italiano e l’azienda che gestisce il servizio deve poter provvedere. Finora l’hanno fatto in pochi.