la Repubblica, 5 aprile 2016
Gay Talese spiega com’è stato frainteso sulle donne giornaliste
Gay Talese non ha mai avuto paura di essere politicamente scorretto, ma è sconcertato per la reazione scatenata da una sua affermazione, che oggi difende, conferma e spiega con rinnovata passione. La vicenda ha fatto il giro del mondo: alla fine di una conferenza alla Boston University ha dichiarato di non riuscire a nominare nemmeno una giornalista donna che lo avesse ispirato. Da quel momento Talese è diventato il soggetto di violenti attacchi sulla stampa e in particolare sui social media: «Se non fossi sgomento e indignato – spiega nella sua casa di Park Avenue – sarei perfino divertito, e spero che questa storia possa essere di insegnamento per capire lo stato degradato della cultura e dell’informazione».
Andiamo per ordine: cosa è successo?
«Alla fine di una conferenza una persona nel pubblico mi ha chiesto se ci fossero state giornaliste donne che avevano rappresentato per me un ruolo di ispirazione. Ci ho pensato a lungo e ho detto: “No, nessuna”. Il che è la verità e lo confermo: avevo sedici anni e all’epoca i punti di riferimento erano tutti maschili».
Era un mondo dominato dagli uomini?
«Certamente per quanto riguarda il lavoro che mi interessava, e che poi ho fatto. Esistevano ovviamente anche giornaliste, e di eccellenza, ma all’epoca scrivevano soprattutto di costume, e di quello che oggi chiamiamo “soft news”. Una riflessione interessante e scomoda da fare è relativa al rapporto tra sesso e politica: quando il giornalismo era dominato da uomini si attribuiva meno peso agli scandali sessuali, basti pensare alla differenza tra come sono state raccontate le vicende di Kennedy rispetto a Hart, Clinton e lo stesso Berlusconi».
Il new journalism, che lei ha fondato insieme a Tom Wolfe e Norman Mailer, è qualcosa di prettamente maschile?
«Lo era allora, e oltre ai nomi che hai fatto possiamo citare Truman Capote e George Plimpton: dobbiamo negare che fossero tutti uomini? Ma negli anni si è visto che ci sono state anche tantissime magnifiche giornaliste. E qui faccio la mia prima riflessione: non trovi incredibile che si debba negare anche il passato? Stiamo vivendo purtroppo sotto la dittatura del politicamente corretto, e questo episodio ne è una prova evidente: ma ammorbidire, smussare, e falsificare la storia non aiuta la verità. Aggiungo una seconda riflessione: viviamo in un periodo il cui il giornalismo è sempre più scadente. È vittima della fretta – che altro è rispetto alla velocità – e del sensazionalismo. Le persone che hanno riportato la mia frase non hanno contestualizzato. Non posso dire se per ignoranza o malafede, ma sospetto che si tratti di entrambe le cose. Quello che interessava era il titolo a effetto, e hanno ottenuto il loro risultato. La cosa più illuminante è quello che è successo in diretta: quando ho fatto la mia affermazione qualcuno ha fischiato e un paio di persone hanno abbandonato la sala. Ma poi, alla fine della conferenza, c’è stata una festa dove nessuno ha menzionato l’accaduto: anzi, ho ricevuto soltanto complimenti. Io avevo persino dimenticato quella battuta e una giornalista del New York Times mi ha chiesto di fotografarsi con me: il giorno dopo ho trovato quella foto sul giornale con il commento “Ho perso il rispetto per il mio idolo”. La mia prima reazione è stata quella di reagire spiegando la verità, ma poi ho capito che sarebbe stato inutile: viviamo in un mondo pressapochista, dove conta quello che fa più rumore».
È vero che riceve lettere piene d’odio?
«Sì, e anche questo è incredibile. Sono tornato a New York da Boston ignorando tutto e ho capito quello che stava succedendo quando un facchino della Penn Station mi ha detto: “Lei si è messo nei guai”. Poi a casa ho trovato mia moglie esterrefatta e le mie figlie che mi chiamavano preoccupate al telefono. La notizia era stata trasformata in “Gay Talese disprezza le donne”: non è patetico? Credo che ci sia stato anche il tentativo di farmi passare per una specie di Donald Trump, cosa che oggi fa notizia: altro esempio di cialtroneria, conformismo e sensazionalismo giornalistico.
Se chiedessi oggi quali sono le giornaliste che ammiri?
«Premesso che in un mondo civile una persona deve essere libero di dire quello che pensa, la risposta è che sono tantissime, e recentemente ho fatto un blurb (una breve recensione per la fascetta editoriale, ndr) a Larissa MacFarquhar, che stimo molto. Ma guardando al passato recente penso a Nora Ephron e Lillian Ross. Per non parlare di Oriana Fallaci, che è stata una straordinaria maestra di giornalismo per varie generazioni, interpretandolo con lucidità, grande coraggio e ammirevole durezza».