Corriere della Sera, 5 aprile 2016
Insegnare di questi tempi è diventato un lavoro ingrato. Ancora a proposito del caso del Virgilio
A leggere la lettera del docenti del Virgilio a commento delle polemiche scoppiate per l’arresto di uno spacciatore nel cortile del liceo, si ha la conferma di un assunto diventato ormai un triste luogo comune: insegnare di questi tempi è diventato un lavoro ingrato. Sottopagati rispetto alla media europea – i loro colleghi tedeschi, per dire, guadagnano quasi il doppio – privati di quel prestigio sociale di cui godevano solo un paio di generazioni fa, i professori delle nostre scuole spesso si trovano contro non solo realtà degradate e difficili – basta farsi un giro per le nostre periferie e borgate dove la scuola è l’ultima e unica istituzione pubblica presente – ma anche alunni e genitori. Non tutti certo.
Nel caso del Virgilio c’è stato anche un sostegno di ragazzi e famiglie all’azione che ha portato all’arresto dello spacciatore. Ma come in un riflesso condizionato sono partite le accuse a chi permette l’invasione delle forze dell’ordine nel sacro suolo della scuola, violando con atteggiamenti repressivi e non educativi la libertà di insegnamento e di pensiero. Sarà. Ma davanti a fenomeni conclamati di spaccio – provati, neanche a dirlo, dall’irruzione dei Carabinieri – come dovrebbe comportarsi un professore o un preside? Facendo finta di niente? Intavolando un negoziato con gli spacciatori? Chiedendo loro cortesemente di andare a spacciare più in là?
Qualcuno ha obiettato che in fondo lo studente-pusher vendeva solo hashish. Robetta, insomma. Ora, si può discutere se sia giusto o no depenalizzare le droghe leggere, ma finché la legislazione vigente è questa, tollerare la vendita della droga a scuola avrebbe significato né più e né meno che sdoganarla, tutta quanta, renderla legittima perché se davvero sopravvive un luogo sacro e legittimante all’interno delle istituzioni pubbliche questa è la scuola. È lì che si formano i modelli culturali di massa. È in quell’età compresa tra un’adolescenza sempre più precoce e la prima maturità che si forma il carattere dei nostri ragazzi. Non opporsi a chi spaccia nelle aule vorrebbe dire arrendersi alla cultura della droga. Questo, i professori lo sanno bene. Con scarse risorse e pochi mezzi a disposizione, fanno quello che possono. E se per una questione di ruolo è comprensibile a volte scontrarsi con gli studenti, i loro genitori no, dovrebbero essere sempre dalla loro parte. Anche affrontando a muso duro i propri figli che a volte, per pigrizia o debolezza, si tende colpevolmente a compiacere.