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 2016  aprile 03 Domenica calendario

Elogio della copia

Il fascino irresistibile della copia. Anche se (forse) sarebbe più poetico parlare di ispirazione o di citazione. L’image volée, la collettiva curata da Thomas Demand (sessanta artisti per novanta lavori suddivisi tra la Galleria Nord e il Cinema della Fondazione Prada, con una curiosa appendice nei sotterranei) sembra voler celebrare appunto questo: la copia come elemento essenziale della creazione artistica per un percorso allestito dallo scultore Manfred Pernice in cui si ri-definiscono in qualche modo gli stessi concetti di originalità, modello, autore.
Niente di sorprendente, in fondo, considerato che nel 2006 lo stesso Demand per il suo Grotto aveva letteralmente ricostruito e poi fotografato una grotta dell’isola di Maiorca (trenta tonnellate di cartone grigio, sagomato mediante computer e disposto a formare una stratificazione di 900 mila sezioni) partendo da una semplice cartolina (dunque, la citazione può essere tranquillamente «alta» o «bassa»). E Grotto fa ora parte dell’installazione permanente Processo Grottesco della Fondazione, che non a caso si è aperta nello scorso maggio con la mostra Serial Classic che a sua volta voleva esplorare «il rapporto tra originalità e imitazione nella cultura romana».
Per Picasso c’erano Cézanne e le statue africane («Se c’è qualcosa da rubare, la rubo» aveva dichiarato senza tanti dubbi); per Cy Twombly l’oggetto del desiderio sarebbe stato invece proprio il divino Pablo ( A copy of Picasso del 1986). Perché, spiega il critico statunitense Russell Ferguson in uno dei saggi del catalogo, «i grandi artisti rubano sempre». Citando a questo proposito i casi di Jeff Koons e Richard Prince «più volte portati in giudizio per violazione del copyright» e quello (più eclatante) di Ulay che nel 1976 aveva davvero rubato un quadro ( Il povero poeta di Carl Spitzweg del 1839) alla Nationalgalerie di Berlino per poi ricollocarlo nel soggiorno di una famiglia di immigrati turchi «con l’intenzione di suscitare interrogativi sull’idea di povertà e identità nazionale». Da questo gesto sarebbe nato il lavoro There is a Criminal Touch to Art, ma Ulay sarebbe poi stato costretto ad abbandonare la Germania per evitare di essere incriminato. A proposito dell’insensibilità delle autorità costituite a questa particolare idea di furto va, tra l’altro, ricordato come nel 1911 Picasso e Apollinaire fossero stati arrestati in quanto sospettati del furto della Gioconda.
Laboratorio di ricerca (non solo artistica, ma anche scientifica e letteraria) oppure scenografia degna di una spy story (tipo Ipcress con Michael Caine o Il sipario strappato di Alfred Hitchcock)? La lettura della mostra di Demand appare assai soggettiva e personale (a fare da comune denominatore l’atmosfera rarefatta e i colori ton-sur-ton ). Un vero laboratorio è quello che propone fotografie, dipinti e film carichi di citazioni: la Marilyn di Warhol di Sturtevant, 1973; l’ Hellenistic Portrait di Odires Mlászho, 1996; il Modigliani secondo Pierre Huyghe, 2007; la Santa Barbara di Rudolf Stingel, 2009: le 432 fotografie di Nefertiti assemblate da Sara Cwynar, 2015. Altri lavori, invece, si basano su un processo di alterazione di opere e media preesistenti: è il caso di Richter-Modell (1987), un quadro di Gerhard Richter trasformato in tavolino da Martin Kippenberger, o di Unfolded Origami (2016) di Pierre Bismuth che aveva realizzato una nuova opera partendo da un poster di Daniel Buren. Thomas Ruff in jpeg ib01 (2006) altera così un’immagine estratta dal web; Anri Sala in Agassi (2006) esplora le potenzialità del mezzo filmico «nel rivelare dinamiche nascoste»; Guillaume Paris nel video Fountain (1994) ripropone in versione informatizzata una sequenza del cartoon Disney Pinocchio (1940).
Altri lavori richiamano più direttamente l’immaginario spionistico-criminale (se si parte dalla fine della mostra l’impatto è più evidente): Senza titolo (1991) di Maurizio Cattelan; Stolen Rug (1969), tappeto persiano rubato su richiesta di Richard Artschwager per la mostra Art by Telephone a Chicago; la tela di Adolph von Menzel Friedrich der Grosse auf Reisen (1854), letteralmente mutilata.
La terza parte della mostra (quella ospitata nel seminterrato) è di fatto votata a questa prospettiva. John Baldessari nell’installazione video Blue Line / Holbein (1988) inserisce una telecamera nascosta che riproduce le immagini rubate del pubblico all’interno di uno spazio adiacente («mettendo in discussione il ruolo stesso dello spettatore»); Sophie Calle nella serie The Hotel (1981) unisce nella sua ricerca il lato privato e artistico, rivelando dettagli intimi della vita di persone sconosciute. Christopher Williams in Source… (1981) «rivela prospettive non ufficiali nella comunicazione istituzionale», selezionando da un archivio pubblico quattro fotografie di John Fitzgerald Kennedy che ritraggono il presidente di spalle e per questo giudicate all’epoca «inadatte a essere diffuse». La sezione si chiude riunendo veri dispositivi di spionaggio usati dalla Ddr e dall’Urss per controllare i propri cittadini: strumenti tecnologici in grado d’infrangere le barriere della dimensione privata, selezionati per la bellezza del loro design razionale che anticipa quello dei computer e degli smartphone di oggi. Ennesima citazione-furto anche questa: l’allestimento è quello di Hans Hollein per la Triennale di Milano del 1978.
Dunque non sembra esserci più dubbio: l’idea di copia non ha più la connotazione negativa di un tempo. E non è solo un’idea di Thomas Demand, è sufficiente guardarsi intorno: la mostra su Piero della Francesca al Museo di san Domenico a Forlì racconta come in fondo da sempre si possa prendere ispirazione da un grande maestro e trasformarlo in qualcosa di personale; quella di Botticelli alla Royal Academy di Londra propone un viaggio nell’immaginario collettivo (e spesso assai commerciale) scaturito dalla Venere e dalla Primavera; quella del Louvre ( Accrochage. Delacroix en modèle, fino al 16 agosto) si concentra invece sull’influenza di Delacroix sull’arte francese. Ma particolarmente interessante appare il caso del Museum of Art di Filadelfia dove il 15 aprile si inaugura Inside Out (fino al primo novembre): grandi riproduzioni in scala dei capolavori della collezione (van Gogh, Brancusi, Georgia O’Keeffe, Andy Warhol) disperse per la città. Ovvero la copia al servizio non tanto dei critici, quanto del pubblico.