Il Sole 24 Ore, 3 aprile 2016
Elogio della carta formato A4
In un aeroporto europeo mi sono fatto rimproverare dall’addetto al controllo delle carte di imbarco – ancora per qualche tempo, una persona in carne ed ossa la quale comunque non fa altro che puntare uno scanner manuale su un codice QR che mi identifica e certifica le mie credenziali a venir imbarcato su un certo volo. Il rimprovero aveva il seguente tenore: «la sua carta di imbarco, signore, non è completa». Questo nonostante lo scanner avesse prodotto un bip incoraggiante e la luce fosse passata dal rosso al verde, come per tutti gli altri viaggiatori prima di me. Completa? Che cosa avevo fatto di male? Nello stampare il documento di viaggio avevo fatto un copia e incolla della parte pertinente, per non dover stampare i termini e le condizioni e la ancor meno utile pubblicità per un qualche albergo a destinazione. La discussione non è stata lunga, sono passato lo stesso, mi è stato soltanto detto che forse un’altra volta avrei potuto non farla franca.
La ragione per cui non stampo tutto il documento è che si tratta di una paginona a colori brillanti che consuma avidamente l’inchiostro della cartuccia: al di là dei costi e dello spreco poco rispettoso dell’ambiente, c’è l’incomodo di cambiare periodicamente le cartucce, ne faccio volentieri a meno e cerco di diradarlo nel tempo. A rigor di logica, tutto quello che lo scanner vede è il codice QR. Potrei stamparlo su una t-shirt, dipingerlo a olio su una tela, proiettarlo sul soffitto dell’aeroporto, impararlo a memoria e disegnarlo sul momento di fronte all’addetto. E del resto chi usa uno smartphone mostra solo il codice sullo schermo (è tutto da dimostrare che questo processo sia più ecologico che la stampa, ma questa è un’altra faccenda). Racconto questa parabola per attirare l’attenzione sul potere dei formati. Per quanto l’accesso all’aereo sia garantito da un codice che per essere letto può stare in un quadratino di tre centimetri di lato, l’incarnazione cartacea di questa informazione passa per il formato A4 che usano tutte le stampanti europee o per il cugino « Letter », figlio delle loro sorelle americane, entrambi nipoti della carta da lettera che piegata in tre entrava nelle buste oblunghe. L’A4 nasce da una scelta di comodo geometrica e fisica. Il rapporto di 0,7070:1 tra i due lati dell’A4 (21cm per 29,7cm) si ritrova tra i due lati dell’A5 che si ottiene piegando a metà un foglio A4, e lo stesso discorso vale per tutti gli elementi della serie. Se volete produrre una risma di fogli A4, potete prendere una risma di fogli A2, tagliarli a metà per ottenere gli A3, e poi tagliarli ancora a metà.
La comodità è nella manipolazione fisica: per trovare la metà non c’è bisogno di misurare, basta piegare! Mantenendo le proporzioni, si sarebbe ben potuta usare un’altra misura di partenza, per esempio 7cm per 9,9 cm, o 25,2cm per 35,64cm. Perché la carta da lettera abbia invece proprio le dimensioni che ha, e quindi l’A4 si sia affermato come la dimensione standard dei documenti scritti, dipende a sua volta da molti fattori nella complessa storia della scrittura. Le cartoline sono troppo piccole per porgere poco più di un messaggio di saluto (untweet cartaceo?), se non vogliamo usare una lente di ingrandimento per leggerle. C’è un certo equilibrio visivo tra la densità del testo su una pagina scritta e la sua quantità. È comunque andata come è andata, e il potere dell’A4 è smisurato. Praticamente tutti i documenti intermedi – ma noscritti, rapporti, prospetti, una vasto numero di semilavorati come le bozze, e sinanco molti prodotti finiti, come le tesi di laurea, le lettere, gli articoli scientifici online – sono prodotti sotto il regime dell’A4. Del resto, perché fare altrimenti? Si dovrebbero cambiare tutte le stampanti e rivoluzionare la catena di produzione e distribuzione della carta, ma che cosa potremmo sostituirvi? L’A5, o il 7cm per 9,9 cm? Quanto tempo ci potrebbe volere per accordarsi su un altro formato, se mai ci si riuscirà? Se oggi stampo un articolo scaricato dal web, sono contento che sia già in formato A4, visto che così ottimizzo lo spazio e quindi l’uso e il consumo di carta e inchiostro.
Per questa ragione tra l’altro sono fedele al mio vecchio tablet di prima generazione (2007), che con il suo schermo quasi A4 mi permette di leggere comodamente dei testi sullo schermo senza farli scorrere in su e in giù. Di fatto, il matrimonio fallito dell’A4 con gli schermi dei pc fissi e portatili, dei tablet più diffusi, e degli smartphone, è un vero e proprio invito alla stampata massiccia. Possiamo anche pensare di smaterializzare molto, se non addirittura tutto, nella e-economia, ma ci sono dei residui della a-economia, l’economia degli atomi, che procedono imperterriti a tambur battente nel ventunesimo secolo grazie alla loro immensa inerzia.
Le carte di imbarco che ci stampiamo ormai da casa, facendo risparmiare sui costi e sul personale alle compagnie aeree, esemplificano invece un ulteriore fenomeno, la colonizzazione del formato. Il documento di viaggio in sé ha le proporzioni delle vecchie carte di imbarco e occupa un terzo dello spazio dell’A4. Perché lasciare inutilizzati i due terzi restanti? Cosa c’è di meglio che vendere uno spazio pubblicitario che l’utente stesso si incaricherà di stampare a sue spese?