La Stampa, 3 aprile 2016
Salto a ostacoli, tre dei primi quattro campioni del mondo sono figli dello stesso stallone. Tra i cavalli vince la genetica
Tra i tanti elementi statistici che emergono dal risultato conclusivo della recente finale della Coppa del Mondo di salto a ostacoli (terminata a Göteborg, in Svezia, lo scorso 28 marzo) ce n’è uno che balza all’occhio: tre dei primi quattro cavalli in classifica sono figli dello stesso padre. Si tratta di Corbinian, 10 anni, vincitore sotto la sella dell’elvetico Steve Guerdat; di Cornet d’Amour, 13 anni, terzo classificato con il tedesco Daniel Deusser; di Cornado, 13 anni, quarto con il tedesco Marcus Ehning. Il loro papà è lo stallone belga Cornet Obolensky (nato in realtà con il nome di Windows van het Coesterveld), cavallo che ha svolto una eccellente carriera sportiva montato dal tedesco Marco Kutscher fino al 2012 e che alla fine del 2015 si è trovato al terzo posto della classifica riservata agli stalloni padri di vincitori internazionali dietro il francese Diamant de Semilly e l’olandese Kannan. Tale dato statistico dimostra una volta di più ciò che ormai corrisponde a una realtà assodata nel mondo del cavallo sportivo: la selezione genetica basata sull’attitudine è determinante per produrre campioni.
Lo studio
Oggi è un principio scontato, ma non è sempre stato così: un tempo – diciamo fino ad almeno l’inizio degli Anni Settanta – la struttura morfologica sia dello stallone sia della fattrice era l’elemento prevalente nella considerazione dell’allevatore, mentre non lo era affatto il risultato del campo di gara. Tant’è vero che gli stalloni molto raramente venivano utilizzati in concorso, mentre le cavalle diventavano fattrici quasi sempre al termine della carriera agonistica ma a prescindere dal loro curriculum sportivo: molto spesso solo perché quello poteva divenire un loro utilizzo ulteriore.
L’idea che il rendimento sportivo di un cavallo prescindesse totalmente dall’eredità genetica, e che invece fosse condizionato solo da fattori quali la qualità del cavaliere e il numero di concorsi affrontati nell’arco della carriera, si è pian piano modificata nel momento in cui i numeri dello sport sono cresciuti enormemente stimolati dall’avvento delle sponsorizzazioni e del professionismo, cioè grosso modo a partire dagli Anni Ottanta (un po’ prima in effetti): più cavalieri di capacità e bravura costantemente migliorate, più concorsi organizzati ovunque in Europa nell’arco dell’anno, più cavalli immessi sul circuito internazionale… tutto questo ha creato un «tavolo» di lavoro sul quale poter studiare nuove teorie e nuovi modi di concepire la produzione dei cavalli sportivi.
Pian piano anche gli stalloni sono entrati in gara e le cavalle figlie di stalloni di confermato rendimento agonistico sono state messe in razza da giovani prima di cominciare la carriera sportiva: questi sono stati i primi passi mossi verso la considerazione dell’attitudine allo sport come elemento determinante per avviare linee di sangue e possibili incroci.
Addio alle razze
Oggi, dopo lo sviluppo di una storia meravigliosa fatta e scritta dai nomi di grandi campioni, di grandi cavalli e di grandi cavalieri, siamo giunti al punto in cui non esiste più la tipicità delle varie razze: esiste al contrario un solo modello di cavallo sportivo allevato e registrato presso i vari stud-book del mondo (prevalentemente europei) frutto di una selezione sempre più attenta e professionale, sostenuta nel tempo anche da tecnologie sempre più innovative (quali per esempio il congelamento del seme e l’embryo-transfer) e da mezzi di informazione raggiungibili e utilizzabili in qualsiasi momento da parte sia di chi produce sia di chi «consuma». Cornet Obolensky e i suoi figli, dunque, non sono altro che l’ultima ed ennesima dimostrazione di un fenomeno che ha orientato in modo determinante il corso e la storia dell’allevamento e dello sport equestre mondiale.