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 2016  aprile 03 Domenica calendario

Amelian Nicolae, l’uomo che dieci anni fa uccise a martellate un suo connazionale, ora tenta di riscattarsi con galera e pugilato

Quando Amelian Nicolae sale sul ring fra il pubblico scatta un lunghissimo applauso. Seduti in prima fila ci sono due leggende della boxe come Nino Benvenuti e Francesco Musso. Nelle retrovie ex carcerati e guardie penitenziarie, assieme all’educatrice e al cappellano della casa circondariale delle Vallette di Torino. Amelian, del resto, non è un pugile come tutti gli altri. Sulle sue spalle da gigante pesa una condanna a 30 anni di reclusione per un brutale omicidio ed è il primo detenuto in Europa a cui è stata data la possibilità di uscire dal carcere per partecipare a un incontro ufficiale.
Sul suo volto imperlato dal sudore si legge la tensione di chi sa di avere l’ultima occasione per riprendersi la sua vita. Si gioca tutto su quel quadrato dove è salito per la prima volta 7 anni fa quando un suo compagno di cella gli propose di sfogare la sua rabbia infilandosi un paio di guantoni. Da quel momento è cambiato e ha cominciato a lavorare duro nella palestra creata in carcere dal maestro Antonio Montecalvo. «Quando proposi al direttore di insegnare boxe ai detenuti mi guardarono tutti come se fossi pazzo – racconta il maestro – Oggi in platea vedo un sacco di guardie tifare per il mio ragazzo. È la soddisfazione più grande».
Nicolae ha deciso di riscattarsi, ha imparato regole e disciplina, parole che per lui non avevano mai contato nulla. Nel giro di pochi mesi si è trasformato in un detenuto modello e in un lavoratore instancabile nella cooperativa del carcere. Oggi, dopo aver scontato i primi 10 anni di pena, ha a disposizione 45 giorni di permesso ogni 12 mesi per tornare a casa e incontrare il figlio nato quando lui era già chiuso dentro una cella. 
Nel suo futuro c’è ancora tanta galera, ma anche la speranza di poter costruire qualcosa di buono quando sarà fuori. E poi resta il grande sogno: vincere 10 incontri e diventare un professionista. Il primo match, quello del debutto, l’ha messo in bacheca venerdì sera, anche se solo per squalifica, sul ring della piccola polisportiva di Vinovo, alle porte di Torino. Amelian ha incassato tre pugni quando la gara era già stata fermata dall’arbitro, ma nemmeno per un attimo ha pensato di reagire. 
«Dieci anni fa le cose sarebbero andate diversamente», ammette mentre accarezza la testa del figlio a bordo ring. «Ero una testa calda e quando bevevo succedevano brutte cose. Volevo farmi rispettare, ma grazie alla boxe ho imparato a controllarmi e non mi sono mai più messo nei guai».
Dell’omicidio di Dumitru Policarp, estate 2006, non parla volentieri. Secondo i giudici che lo hanno condannato Amelian, assieme a due complici, avrebbe ucciso il suo connazionale a colpi di martello dopo averlo legato a un albero nella baraccopoli di via Lega, alla periferia di Torino. La vittima era uno dei tanti manovali che Amelian reclutava per la sua impresa edile: fu massacrato semplicemente per una risposta non data. 
«Dopo tanti anni è inutile tirare fuori ancora questa storia. Mi hanno dato una seconda opportunità e non me la lascio certo sfuggire».