Corriere della Sera, 3 aprile 2016
La storia del Matrimonio della Vergine
In occasione del confronto tra il Matrimonio della Vergine del Perugino e quello di Raffaello ho scoperto che quello del Perugino è rimasto a Caen in Normandia a seguito delle requisizioni napoleoniche. Rientra quindi in quel numero di opere che il Canova non è riuscito a recuperare. Nel caso lei avesse un inventario delle opere non recuperate in Francia insieme ai motivi per i quali non sono tornate sarebbe interessante conoscerlo.
Vittorio DinettoCaro Dinetto,
Non conosco l’elenco completo delle cento opere che il generale Bonaparte ottenne dal Santa Sede con il trattato di Tolentino, firmato nel febbraio 1797. Ma da un articolo di Antonio Cederna, apparso su Repubblica (2 febbraio 1993), risulta che «63 provenivano dal Vaticano, 20 del Campidoglio, e il resto dalle chiese romane, tra cui la Trasfigurazione di Raffaello e la Deposizione di Caravaggio. Tra i maggiori capolavori di scultura vi erano il Laocoonte, l’Apollo del Belvedere, le statue colossali del Nilo e del Tevere, la Venere Capitolina, l’Antinoo, il Galata morente, lo Spinario, l’Amazzone». Per recuperarle, dopo Waterloo, il segretario di Stato della Santa Sede, il cardinale Ettore Consalvi, inviò a Parigi, nell’agosto del 1815, Antonio Canova. Grazie alle sue ricerche ne furono trovate e restituite a Roma settantasette. In una lettera a Consalvi, Canova spiegò che le opere mancanti erano andate disperse o erano «praticamente intoccabili». Due o tre quadri erano nel palazzo reale e altri erano finiti nelle chiese. Era utile e conveniente per la Santa Sede, in quel momento, avanzare richieste che avrebbero infastidito il sovrano e spogliato le chiese francesi di opere che ne arricchivano la spiritualità?
Il Perugino, tuttavia, non apparteneva al lotto del trattato di Tolentino. I francesi lo avevano confiscato a Perugia, dove ornava una cappella del Duomo, e Bonaparte se ne era appropriato per farne dono allo zio, il cardinale Joseph Fesch. Non so se Canova fosse al corrente, ma Fesch era allora a Roma sotto la protezione di Pio VII, e il grande scultore dovette giungere alla conclusione che il problema non era più di sua competenza.
Fesch era un grande collezionista (aveva raccolto circa 16.000 dipinti) e lasciò una grande parte della sua collezione alla città di Ajaccio, in Corsica, dove esiste ora un museo intitolato al suo nome. Ma una parte della collezione, fra cui il Perugino, era stata venduta nel 1845 a un libraio di Caen, Bernard Mancel, che nel 1875 ne fece dono al museo di Belle Arti della sua città. Aggiungo per completezza, caro Dinetto, che il museo di Caen ha probabilmente la più bella collezione d’arte italiana dopo quella del Louvre. È stato gravemente danneggiato durante la battaglia di Normandia, nel 1944, ma è stato ricostruito ed è oggi, fra i musei provinciali francesi, secondo soltanto a quello di Lione.