Il Sole 24 Ore, 1 aprile 2016
Non sono i 200 miliardi di sofferenze delle banche ad agitare Piazza Affari. È cosa farne il problema
A creare disagio in Borsa non è il numero. Che i nostri istituti di credito abbiano 200 miliardi lordi di crediti in sofferenza ormai lo sanno anche i sassi. Quello che mette in apprensione Piazza Affari è invece l’incertezza su come questi finanziamenti andati a male dovranno essere maneggiati in futuro. Le banche dovranno gestirli con gradualità (come ha detto Mario Draghi il 21 gennaio), oppure sarà caldeggiata dalla Vigilanza la vendita in blocco a prezzi di mercato nel più breve tempo possibile (come la stessa Bce sembra preferire nel caso di Carige)? Quale sarà insomma la cura prescritta? Quella da cavallo o quella graduale? È questa la domanda che assilla gli operatori di Borsa. Anche perché la Vigilanza sembra avere un atteggiamento poco decifrabile sul tema.
Le due opzioni hanno impatti molto diversi sugli istituti e sulle loro valutazioni di Borsa. Vendere i crediti in sofferenza a operatori specializzati ha il vantaggio di liberare i bilanci bancari e, indirettamente, di aumentare la loro capacità di erogare credito a imprese e famiglie. Questa strada, però, non è indolore: i fondi specializzati hanno un approccio aggressivo e mirano a realizzare guadagni a due cifre dal portafoglio di finanziamenti acquistato. Per questo sono abituati a comprare i prestiti in sofferenza a prezzi molto bassi, molto inferiori ai valori degli stessi crediti nei bilanci delle banche. Venderli, quindi, significa per gli istituti incassare perdite. E, probabilmente, dover varare aumenti di capitale. I prezzi di mercato sono infatti decisamente bassi. Il fondo americano Apollo ha offerto a Carige di acquistare l’intero suo portafoglio al 20% del valore nominale originario dei crediti. Le quattro banche salvate a dicembre (Marche, Popolare Etruria, CariChieti e CariFerrara) sono state costrette a svalutare le loro sofferenze al 17,5% (che corrisponde all’82,5% di perdite) proprio per poterle dismettere facilmente. Secondo uno studio effettuato da Finanziaria Internazionale sulle cartolarizzazioni di crediti in sofferenza realizzate dalle banche italiane negli ultimi 3 anni, si scopre che in queste operazioni (per un importo di 29 miliardi circa) i crediti sono stati ceduti a un valore medio del 13,7%. Questi numeri dimostrano che gli investitori specializzati sono disposti a pagare poco. Per questo le banche non li vendono. Il problema è che tenerli nei bilanci crea altrei problemi, perché la maggior parte delle banche non li sa gestire. Recuperare una massa tale di crediti richiede personale, organizzazione e capacità che la maggior parte degli istituti non ha. Ecco dunque il dilemma: vendere i crediti deteriorati e incassare subito la perdita, oppure tenerli in bilancio senza saperli gestire? Il 21 gennaio scorso Mario Draghi aveva lasciato intendere che la Bce non volesse fare pressing sulle banche. Questo aveva tranquillizzato gli animi in Borsa. Ma quando la Vigilanza della stessa Bce è sembrata caldeggiare in questi giorni l’offerta di Apollo per i crediti di Carige, il mercato è rimasto disorientato: cosa chiede veramente Francoforte? Dismissione veloce o gestione graduale? L’approccio dimostrato su Carige dalla Bce sarà il nuovo trend? Questo pesa in Borsa.