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 2016  aprile 01 Venerdì calendario

La Cirinnà è scritta malissimo

Una legge brutta. Mal scritta. Confusa. Tecnicamente fragile. Buttata giù in fretta e furia. A rischio di costituzionalità in ogni suo capitolo. Sono bastate due sedute della commissione giustizia della Camera per fare letteralmente a pezzi uno dei fiori all’occhiello di Matteo Renzi, Maria Elena Boschi e del loro governo: la legge sulle unioni civili che porta la firma della senatrice Pd, Monica Cirinnà. Due giorni di audizioni di esperti della materia: professori di diritto costituzionale, di diritto civile, di diritto privato e pubblico, magistrati. Ognuno dal suo punto di vista ha spiegato ai componenti della commissione guidata da Donatelli Ferranti che quel testo di legge deve essere profondamente cambiato anche in parti ritenute sostanziali, perché non reggerebbe per più di un motivo al vaglio della Corte Costituzionale.
Il difetto principale è stato individuato da Francesco Saverio Marini, professore di istituzioni di diritto pubblico presso l’Università degli studi di Roma Tor Vergata, «è che si sia partiti dalla fine, cioè dall’equiparazione completa fra matrimonio e unioni civili, per poi sottrarre tessere al mosaico ed evitare la paventata assimilazione piena fra le due figure. Senonché, da un lato spacchettare i singoli profili in più disegni di legge non risolve né attenua il problema, perché come è ovvio la valutazione della Corte non potrà che tener conto dell’intero ordinamento e non del singolo atto normativo; dall’altro, tale opera di ritaglio non sembra sorretta da un disegno razionalmente unitario né, a monte, da un chiaro accordo circa l’ubi consistam dell’unione civile». Secondo lo stesso Marini per usare un eufemismo «il risultato non appare, almeno allo stato, dei più appaganti». E se non si riscrive quel testo secondo Marini rischia di franare davanti a un esame della Corte Costituzionale.
Secondo Enrico Quadri, professore di istituzioni di diritto privato e diritto di famiglia presso l’Università degli studi di Napoli Federico II la Cirinnà è soprattutto scritta male nei suoi impianti giuridici: «L’ansia di differenziazione ha intorbidato la disciplina, rendendola, come è sotto gli occhi di tutti, piuttosto disordinata e articolata, a un tempo, su numerosi richiami e su una trascrizione non sempre fedele e adeguata delle disposizioni del codice civile». Secondo il professore Quadri «anche il silenzio sull’obbligo di fedeltà finisce con il presentarsi come privo di qualsiasi concreta portata, non solo per la sua intima incongruenza con l’idea di unità di vita di coppia evocata fin dal comma 2 dell’articolo 1 della proposta legge, ma, soprattutto, perché all’unione civile non risulta applicabile l’istituto della separazione personale, con quella possibilità di addebito in cui notoriamente si risolve la sanzione della violazione di un simile dovere». Il costituzionalista Filippo Vari, professore presso l’Università europea di Roma, sostiene che il punto più critico è proprio l’architrave stessa della Cirinnà: «L’equiparazione tra unione civile e matrimonio emerge da tanti commi della proposta di legge e in particolare dalla clausola generale contenuta nel comma 20 dell’articolo 1. Questa equiparazione a mio avviso si pone in contrasto con il disegno costituzionale in materia di famiglia, in particolare con gli articoli 29 e 31. Non vi tedio con una lunga analisi del testo costituzionale, però è noto che la Costituzione assegna alla famiglia fondata sul matrimonio una posizione di preminenza». Vari spiega che «in Costituzione è ravvisabile un favor nei confronti del matrimonio e della famiglia. Questo favor, a mio avviso, è intaccato nel momento in cui l’unione civile viene posta, con riferimento ai diritti sociali, sullo stesso piano della famiglia». Il costituzionalista fa anche due esempi concreti di questo. Il primo è quello «dell’assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, le case popolari. Se le unioni civili e addirittura le convivenze, in forza del comma 45 dell’articolo 1, sono poste sullo stesso piano della famiglia, la preferenza per la famiglia si annulla». Il secondo caso è quello delle pensioni di reversibilità, che già aveva sollevato qualche perplessità alla Ragioneria generale dello Stato: «La pensione di reversibilità è un’eccezione, un privilegio di cui nell’ordinamento gode la famiglia per quella che Costantino Mortati chiamava “l’infungibile” funzione sociale anche se non statale della famiglia. Nel momento in cui si estende il novero dei beneficiari della pensione di reversibilità, inevitabilmente questa estensione avviene o tramite un inasprimento della leva fiscale o tramite lo storno di risorse pubbliche, che però non vengono impiegate, invece, per adempiere a uno specifico obbligo che la Costituzione impone all’articolo 31 ai poteri pubblici, ossia di promuovere la formazione della famiglia e agevolarne lo svolgimento delle relative funzioni. Siamo di fronte alla creazione di un modello concorrenziale rispetto all’istituto familiare». Più gentile, ma non certo assolutorio il giudizio fornito da Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte Costituzionale: «Con maggiore fantasia giuridica e con maggiore impegno di elaborazione, si sarebbe potuti pervenire a un modello appropriato e originale, senza un ricorso così puntuale a norme che hanno un qualche carattere di diversità rispetto al tema e non si collocano espressamente nel perimetro ristretto che la giurisprudenza costituzionale ha determinato».
Troppo vicina alla famiglia l’unione civile della Cirinnà, ma discriminatrice verso le coppie omosessuali sotto un altro aspetto che ha fatto notare Monica Velletti, magistrato presso il Tribunale di Roma I sezione civile: «La lacuna più evidente, che mi è balzata agli occhi, è il mancato richiamo nella disciplina delle unioni civili dell’articolo in materia di impresa familiare. L’articolo 230-bis del codice civile, che disciplina l’impresa familiare si applica soltanto ai familiari. In relazione ai familiari ovviamente il codice civile non poteva immaginare che vi fosse il partner dell’unione civile. Ci troviamo nell’assurdo che l’impresa familiare potrà essere applicata ai partner di una convivenza di fatto, ma non potrà essere applicata, perché manca l’esplicito riferimento, ai partner dell’unione civile. Io posso ravvisarvi un’espressa incostituzionalità...».