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 2016  aprile 01 Venerdì calendario

In una prospettiva storica quelli dell’Isis sono dei pidocchi, sgradevoli, fetenti, ma nulla più

Nei due Camei precedenti ho raccontato i miei 7 giorni di guerra all’Isis, consumando news e talk fino allo sfinimento, per cercare di capire la loro strategia, quella delle nostre élite, le modalità di reazione delle nostre classi medie e povere, come il tutto si inserisca nel processo di decadenza che, a nostra insaputa, stiamo vivendo.
«Vaste programme» avrebbe detto il Generale Charles De Gaulle ma non è così, le mie riflessioni sono quelle di un vecchio signore che ha tempo da spendere, che non si attende alcun ritorno, né di essere creduto e neppure di convincere chicchessia. Leggo, studio, pilucco informazioni, viaggio, mi confronto con persone (solo) normali, non frequento salotti, cerco di farmi un’idea di dove stia andando il mondo, quello in cui vivranno i miei amati nipotini.
Lo dico senza iattanza, Isis non l’ho mai considerato una minaccia strategica. Certo, facile parlare quando hai avuto la fortuna di non essere nei luoghi ove hanno operato, ma in una prospettiva storica sono dei pidocchi, sgradevoli, fetenti, ma nulla più.
Il loro destino è segnato, presto perderanno il loro pseudo Stato, ritorneranno quella organizzazione criminale che erano, avranno la quota di mercato (di loro competenza fra le diverse mafie mondiali) riferita a quella parte di business mondiale per ora non ancora quotato a Wall Street.
Il fatto che Israele (unico paese occidentale con una vera dignità statale) li abbia sostanzialmente ignorati, il fatto che Putin (unico leader politico degno di questo nome) in un paio di mesi li abbia ridotti a topi impazziti, riconsegnandoci Palmira, mi ha rasserenato.
Non riesco a prenderli sul serio, più le stragi sono sanguinose, più i corpi sono violati con bombe drogate (chiodi, vetri, pallini), più continuano a farcene di tutti i colori (dominano il rosso sangue e l’arancione simil-guantanamo), più emerge un fatto drammatico: siamo noi occidentali i veri malati, siamo ciechi, abbiamo la presunzione di prevedere tutto, siamo come quei politici e supermanager che elaborano i piani pluriennali, i risultati (sulle slide) crescono anno dopo anno in modo entusiasmante, nella realtà mai si realizzano. Sempre più ricchi di chiacchiere, sempre più penosamente ridicoli.
Dobbiamo convincerci che il cinquantennio 1945-’89 (fine della guerra, caduta del Muro) è stato per l’Occidente forse il periodo più felice della sua storia millenaria, l’abbiamo considerato figlio delle nostre teorie politiche, economiche, sociali, ci siamo convinti che avevamo trovato la quadra. Così, la mia generazione, in particolare la successiva (baby boomers), l’hanno considerata una vacca da mungere, abbiamo dilapidato le ricchezze che ci ha dato a piene mani, ci siamo assegnati un welfare da ricchi, ci siamo dati diritti di ogni genere, rifiutando al contempo doveri elementari, fino al cadere nel peggiore dei morbi, il politicamente corretto.
Ora la Storia ci presenta il conto, e noi siamo impreparati. Continuiamo a trastullarci con queste idiote App alle quali le felpe californiane ci hanno ridotto, rassomigliamo sempre più a solitari fumatori di oppio dal volto scavato. Non abbiamo capito che questo meraviglioso cinquantennio non era merito nostro o delle nostre teorie, ma un banale accidente della Storia, frutto casuale della congiunzione di tutti i fatti positivi che potessero verificarsi in un dato istante storico.Ma la magia è passata, chissà in quale altro secolo del millennio tornerà.
Nella nostra infinita prosopopea ci siamo illusi che la Scienza e la Cultura (le maiuscole non sono mie) ci avrebbero fornito tutta la strumentazione per affrontare qualsiasi problema si presentasse, convinti che nulla ci avrebbe spaventato, la nostra razionalità avrebbe vinto. Il «Cigno Nero» (la meravigliosa metafora di Nassin Taleb), noto fin dal ’700, dopo essere comparso nel ’29, ricomparve nel 2008, assunse la forma di disastro 1 (economia), poi di disastro 2 (immigrazione selvaggia), ora di disastro 3 (terrorismo islamico). Eppure le nostre élite si mossero come nulla fosse avvenuto, rifiutandosi persino di ammettere che il cigno fosse nero, preferirono considerarlo bianco sporco.
Taleb chiama«Antifragile» la capacità, non certo di prevedere il prossimo disastro (impossibile) ma di costruire sistemi adatti a reggere lo shock, in altre parole non ricette per prevenire disastri, ma per diventare disastro-resistenti (antifragile).
Dal 2008 continuiamo ad accumulare rischi, il Cigno Nero è sempre lì, dietro l’angolo, per ora le nostre élite non lo capiscono, continuano a credere che ci siano solo cigni bianchi. Chi ha molto vissuto sa che ci sono pure quelli neri, anzi sono quelli (benedetti) che ci fanno lottare per sognare un mondo di cigni bianchi.
3. Fine