La Stampa, 1 aprile 2016
In Giappone le caste esistono ancora. Chiedere ai Burakumin, considerati impuri
«Voi Burakumin siete assassini di vacche, siete solo dei luridi maledetti perché non avete un lavoro da gente per bene, vi odiamo tutti!». È il contenuto di un messaggio spedito in 500 copie ad altrettante famiglie nel quartiere Yao di Osaka. Identiche lettere minatorie sono arrivate nelle case di centinaia di giapponesi a Kyoto e Kobe. Questo accade nel Giappone contemporaneo dove le caste sono state abolite nel 1871, assieme al sistema feudale. Eppure i Burakumin, i cosiddetti «intoccabili», evidentemente esistono ancora. E non solo esiste una casta di intoccabili in Giappone, ma la rabbia di cui è vittima negli ultimi decenni si è intensificata. I Burakumin sono 3 milioni di persone, circa il 2% della popolazione. Sono famiglie che lavorano come macellai, ma anche nelle agenzie di pompe funebri, negli obitori, e addirittura come ciabattini o operatori nel settore della pelle, tutte attività considerate sporche da una certa interpretazione fondamentalista dello scintoismo e del buddismo. Il livello più basso dei Burakumin viene chiamato Eta, «sporcizia estrema».
«Quando la gente ci chiede che lavoro facciamo, esitiamo a rispondere» ha detto Yuki Miyazaki, macellaio. «In molti casi è perché non vogliamo che le nostre famiglie soffrano. Noi possiamo resistere, ma i nostri figli non hanno la forza di difendersi. E dobbiamo proteggerli».
«I miei figli quando hanno visto la lettera hanno chiesto ‘cosa ci succede? Perché siamo diversi?» ha detto la casalinga Masako. «Non ho saputo cosa rispondere». Ora nel suo quartiere molti hanno paura di aprire la porta agli sconosciuti.
Nel diciannovesimo secolo, per capire il contesto storico, un magistrato decretò che la vita di un Eta valeva un settimo di quella di un essere umano. Originariamente, nella categoria degli intoccabili rientrava una casta ancor più bassa, gli Hinin, o «non-persone» che esercitavano professioni come quella del boia, il torturatore, decapitatore e impalatore di teste, o chi veniva incaricato di crocifiggere i cristiani. Gli Hinin sarebbero i predecessori dei Burakumin, secondo alcune interpretazioni.
Negli anni ’60 una puerpera di 23 anni scoprì che il marito era un Burakumin. Abbandonò subito neonata e consorte per tornare a vivere con i genitori. Lo documentava il corrispondente Nicholas Kristof in un reportage sugli intoccabili apparso sul «New York Times» vent’anni fa e dal quale emergeva una situazione migliore di quella attuale.
Nel secolo scorso si formarono associazioni di categoria tra i Burakumin. Nonostante questo, forse a causa del rafforzarsi dell’ortodossia Shinto e buddista, chi è coinvolto nell’uccisione di animali è tornato a subire discriminazioni.
Uno dei fattori potrebbe essere l’acuirsi della crisi economica che ha aumentato il divario economico tra ricchi e poveri, esacerbando le differenze tra chi si sente puro e chi viene visto come «immondizia». E c’è il fatto che molti Burakumin, spesso a causa della discriminazione, vengono attratti dalla Yakuza, il crimine organizzato giapponese. Quindi l’abbinamento «intoccabile Burakumin» e «criminale» diventa ancora più immediato.
Di recente è emersa una lista di 330 pagine in cui sono elencati i cognomi di tutti i Burakumin. Fino agli anni ‘70 veniva usata dalle società e ditte per evitare di assumere intoccabili. Ora invece è stata digitalizzata e circola su Internet. Ha però un uso diverso, poiché questa «Tokushu Buraku Chimei Sokan» viene consultata dai futuri suoceri che voglio controllare l’estrazione sociale vera del promesso sposo o sposa. Così possono imporre un veto alla mescolanza tra classe sociali.
Ma com’è possibile che in un paese così moderno, proiettato più di tutti nel futuro tecnologico, conviva questa tradizione che si esprime in lettere minatorie, in isolamento sociale e in discriminazione? Il problema è che manca una proposta di legge che impedisca questo tipo di discriminazione. Così le liste clandestine degli «untori» circolano liberamente, scatenando quest’anacronistica caccia alle streghe in nome di una purezza di casta.