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 2016  aprile 01 Venerdì calendario

In Cina si demoliscono le case perché nessuno le compra più

È la prima volta che accade. Circa cento case costruite nel 2004 e rimaste invendute sono state demolite dallo stesso sviluppatore immobiliare. Si tratta di uno dei più grandi complessi residenziali di Heyuan, città da oltre duecentomila anime nella ricca regione costiera del Guangdong. La Jiang Rong Real Estate Development ha comunicato che, sebbene molti degli appartamenti sono stati venduti, nessuna delle ville costruite ha trovato un acquirente. La notizia è uscita perché i pochi residenti hanno chiesto una compensazione in virtù del fatto che l’ambiente intorno alle loro case è ormai rovinato. Al di la delle polemiche locali, questo potrebbe essere il primo di una lunga serie di casi simili.
Nel biennio 2011-2012 la Cina ha prodotto più cemento di quanto abbiano fatto gli Stati Uniti in tutto il Ventesimo secolo. Tra il 1996 e il 2013, 150 milioni di acri di terra sono stati inghiottiti per sempre dalle città. Si tratta dell’otto per cento dei terreni coltivabili. Lo sviluppo immobiliare è stata una delle soluzioni preferite dai governi locali per fronteggiare il debito. Costruire significava poter muovere denaro e favorire l’occupazione. Così si sono costruiti soprattutto complessi residenziali e di lusso perché aumentano notevolmente il valore del lotto di terra originario. Il risultato sono le innumerevoli «città fantasma», conglomerati urbani di recente costruzione nati in attesa di una massa di popolazione che si dovrebbe trasferire in città.
La Cina, infatti, è di fronte a un passaggio importante. Nel 2011 la popolazione urbana ha superato quella rurale. E l’attuale leadership ha pianificato che entro 2020 il 60 per cento dei cinesi vivrà in città. Sono almeno altri 150 milioni di persone. Significa più consumatori e meno contadini, più terziario e meno produzione. È l’ambizioso l’obiettivo di una transizione economica sempre più necessaria e difficile: uno sterminato mercato interno che possa guidare i consumi mondiali.
Ma se le case per i futuri consumatori sono pronte, sono in pochi a volersi trasferire. Nonostante una rete ferroviaria sempre più capillare e veloce, le «new town» cinesi offrono meno opportunità di lavoro e sono assolutamente sprovviste di servizi rispetto alle grandi città. Ed è un circolo vizioso. Se le città rimangono deserte, gli affari non vanno e il terziario non decolla.
Secondo la China Index Academy, la Repubblica popolare ha ormai 6,2 miliardi di mq di patrimonio immobiliare invenduto. Se i tassi di vendita rimangono stabili ci vorranno almeno 5 anni perché il costruito venga venduto e generi guadagni da reinvestire. L’anno scorso gli investimenti immobiliari sono calati dell’uno per cento toccando il punto più basso dal 1998. E il 67 per cento degli immobili in vendita è proprio in città di terza e quarta fascia, dove già sono in pochi ad abitare. Costruzioni tirate su in fretta e spesso con materiali scadenti che non hanno alcuna possibilità di durare nel tempo.
Il risultato è che il mercato immobiliare cinese di oggi ha troppa offerta, è troppo caro e, sicuramente, è stato sovrastimato. Secondo l’Orient Capital Research si tratterebbe di un valore pari al 17 per cento del Pil.
Anche per questo il premier Li Keqiang ha chiesto ai governi locali di favorire lo stanziamento dei migranti nelle città di seconda e terza fascia e ha abbassato le caparre per le aperture dei mutui dal 25 al 20 per cento dell’intera somma. Ma secondo molti, queste misure non saranno sufficienti a contenere la bolla.