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 2016  aprile 01 Venerdì calendario

Per comandare davvero in Libia occorre controllare la Banca nazionale

Il nodo geografico è stato affrontato: il premier libico designato Fayez al-Sarraj si trova a Tripoli. Ora, deve governare: è un’impresa non facile in una città in cui i suoi oppositori politici gli hanno serrato le porte di uffici e istituzioni.
La questione dell’incolumità della sua squadra sembra sotto controllo. Nella base navale di approdo, diventata quartier generale, la sicurezza è garantita dalla marina militare libica, da alcune milizie di Misurata, che dall’estate a oggi hanno progressivamente abbandonato il campo di Tripoli, e dalla polizia locale, sul cui appoggio avrebbe lavorato in virtù delle sue origini tripoline il ministro dell’Interno, Saleh al-Khoja.
C’è poi la questione del controllo delle istituzioni. Il premier Sarraj ha subito fatto sapere che il processo per unificare sotto una sola sovranità le istituzioni nazionali, anche finanziarie, tra cui Banca centrale e National Oil Company, è già iniziato. Il passaggio è cruciale per permettere al governo di gestire la politica e la stremata economia del paese. L’accesso alle casse della Banca è possibile fisicamente soltanto da Tripoli, e il pagamento di tutti i funzionari pubblici e dei membri di ogni milizia, anche quelle tra loro nemiche, avviene dalla capitale. Una notizia riportata ieri dal sito libico «al Wasat» rafforza il potere negoziale del Consiglio presidenziale nei confronti dei vertici della società energetica nazionale: le Guardie petrolifere che fanno capo a Ibrahim Jedhran e controllano installazioni nell’Est del Paese hanno fatto sapere di voler lavorare con Sarraj. Il controllo fisico di centri petroliferi, ma anche semplicemente di uffici della burocrazia è un passo obbligato.
Dopo ore di dichiarazioni contrastanti tra il premier Sarraj e il rivale di Tripoli, Khalifa Ghwell, ieri «LibyasChannel» ha scritto che l’ufficio del primo ministro nel centro della città sarebbe stato consegnato al Comitato Temporaneo per la Sicurezza, lo stesso che ha lavorato alla messa in sicurezza dell’area di sbarco del Consiglio presidenziale. Per governare da quell’ufficio, Serraj deve costruirsi nuove alleanze. I Fratelli musulmani che da anni sostengono le istituzioni di Tripoli hanno dichiarato ieri di voler lavorare con la sua squadra. Hanno così sollevato le ire del mufti di Tripoli, Sadiq al-Ghariani. Ha parlato alla tv di inaccettabili interferenze straniere, e del rischio di innescare una jihad. In realtà, contro le aspettative, Tripoli è rimasta calma, e milizie armate hanno fatto chiudere la tv al Naba, vicino alle posizioni della autorità di Tripoli, per «incitamento».
Sulla strada per il potere, resta un altro nodo da sciogliere. Il premier tripolino Ghwell ha maliziosamente chiesto ai suoi avversari: il generale «Khalifa Haftar è parte della soluzione ora?». Il comandante dell’esercito dell’Est, il cui destino per mesi ha bloccato un accordo, resta nella sua roccaforte di al Marj, nei pressi di Tobruk, ma cerca un ruolo da protagonista nella nuova Libia, che non tutti gli vogliono dare. Il problema è soltanto rimandato.