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 2016  aprile 01 Venerdì calendario

La campagna d’odio di Salvini contro la Fornero è indegna di un aspirante leader della destra italiana

Può Matteo Salvini, l’aspirante leader della destra italiana, colui che cerca di strappare a Berlusconi il ruolo di rappresentarla anche in campo internazionale, eccitare, da oltre due anni, una campagna d’odio e di intimidazione contro un ex ministro della Repubblica fino al punto di organizzare una marcia leghista sotto la sua casa natale, quella di San Carlo Canavese?
Il carattere provocatorio e persecutorio, «ad personam», della protesta contro Elsa Fornero, responsabile del dicastero competente al varo di una riforma pensionistica voluta dal governo Monti e approvata da una larghissima maggioranza in Parlamento è, oltre al resto, del tutto evidente. Si rivolge, infatti, contro un obbiettivo sbagliato. Fornero, dopo la breve esperienza ministeriale, è ritornata alla sua professione di economista e, perciò, non ha alcun potere di cambiare quella legge sulla quale, caso mai, spetterebbe al governo e alle Camere intervenire.
È lecito, naturalmente, esprimere sulla riforma delle pensioni il giudizio anche più pesantemente negativo e manifestare perché la si modifichi. Come è comprensibile il desiderio di raccogliere e rappresentare la delusione di milioni di italiani costretti, da un giorno all’altro, a prolungare il periodo di lavoro o le gravi difficoltà di migliaia di cosiddetti «esodati», finiti senza occupazione e senza pensione. Quello che non è lecito, in una democrazia, soprattutto per un leader che ambisce alla guida di metà dello schieramento politico italiano, è trasformare una legittima battaglia politica in una sorta di accanimento personale, contro un comodo e impotente «capro espiatorio», costretto a essere scortato contro il rischio che qualche testa calda, o imbecille di turno, subisca la tentazione di passare dagli insulti, dalle minacce, dalle lettere minatorie alla violenza fisica. Una vile e insistita campagna di odio, a suon di infondate accuse e di ingiusti sospetti, che non ha risparmiato, come è noto, pure la famiglia dell’ex ministra.
Salvini, a questo punto, deve scegliere. O capeggiare, con la massima spregiudicatezza di mezzi, un partito di protesta destinato a un eterno ruolo di opposizione minoritaria nel Paese, accontentandosi di poter condizionare, da una posizione di maggior forza, le scelte politiche e la leadership del centrodestra. Oppure, coltivare l’ambizione di poter guidare, un giorno, uno schieramento conservatore e magari, sì populista, come si usa dire, ma potenzialmente capace di arrivare alla conquista di palazzo Chigi. È facile raccogliere il consenso, sfruttando la comprensibile collera di chi si sente ingiustamente penalizzato, anche al prezzo di una persecuzione personale, per di più fuori tempo massimo. Meno facile dimostrare di saper offrire a quella collera risposte, concrete e possibili, ai tanti problemi dell’Italia d’oggi.