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 2016  aprile 01 Venerdì calendario

Peggy Guggenheim, la spettacolare collezione di una vecchia e annoiata miliardaria americana molto all’avanguardia

Tra i 118 dipinti esposti nella mostra a Palazzo Strozzi, una ventina sono quelli che Peggy Guggenheim presentò nel 1949 nelle cantine dello stesso edificio, su invito di Carlo Ludovico Ragghianti. Le reazioni dei critici e del pubblico, riportate nel catalogo da Ludovica Sebregondi, furono violentissime. Peggy: «una vecchia e annoiata miliardaria americana». La sua collezione: «una pagliacciata». Firenze, che l’aveva ospitata: «città cafona e provinciale».
Le singole opere: «sgradevoli come le croste dei vaiolosi e le piaghe dei lebbrosi». Oggi quelle stesse opere sono riconosciute come i grandi capolavori dell’arte contemporanea. E accanto ad esse si raccolgono, nella mostra odierna, altri quadri selezionati e acquistati da Peggy e dallo zio Solomon Guggenheim. Quadri che il curatore Luca Massimo Barbero ha distribuito nelle sale nobili di Palazzo Strozzi con l’intenzione di creare «una passeggiata, tutta pensata ma libera, nella storia dell’arte dal 1916 al 1968». La mostra, dice Barbero, «nasce però dall’idea di un ritorno, dal bisogno di rielaborare quell’avvenimento che scandalizzò la città». È interessante notare come in poco più di cinquant’anni quel giudizio si sia rovesciato. «C’è stato come uno scatto, un’accelerazione, nel gusto e nella conoscenza della critica e del pubblico: quello che era lo scandaloso contemporaneo è adesso classicità moderna».
Una grande fotografia di Peggy accoglie i visitatori in ascensore. Sulle pareti della prima sala, le gigantografie dei musei newyorkesi dei due Guggenheim: a sinistra un’immagine dell’interno di Art of This Century, la galleria inaugurata da Peggy nel 1942; a destra, il Museo che Solomon commissionò a Frank Lloyd Wright, aperto al pubblico nel 1959 e destinato a diventare un’icona del Novecento.
Poi un viaggio straordinario, che Barbero ha voluto come «una festa per gli occhi», in cui viene ricostruito, in un crescendo serrato, cronologico e filologico, il confronto tra le avanguardie europee e quelle americane.
Per la prima volta si possono vedere fianco a fianco la grande Curva dominante di Vasily Kandinsky, custodita nel museo di Solomon, e la piccola Boîte-en-valise di Marcel Duchamp, conservata presso la Collezione Peggy Guggenheim di Venezia. È la valigia di pelle dove nel 1941 l’artista decise di riunire le copie in miniatura di tutte le opere eseguite sino ad allora, per rendere trasportabile la loro storia lontano dalla guerra appena scoppiata. Duchamp creò la valigia per Peggy, che aveva conosciuto a Parigi nel 1921, diventandone amico e consigliere.
«A quel tempo», racconterà Peggy «non capivo niente di arte e Marcel cercò di educarmi. Non so cosa avrei fatto senza di lui. Tanto per cominciare mi insegnò la differenza tra surrealismo e astrazione. Poi mi presentò a tutti gli artisti suoi amici che lo adoravano e fui molto ben ricevuta ovunque andassi».
C’erano Brancusi e Kandinsky, Tanguy e Ernst, che poi diventerà il suo secondo marito. La valigia di Duchamp e Il bacio di Ernst sono le prime tappe di un racconto anche intimo che si snoda nel percorso della mostra, e che parla dei rapporti d’amore e d’amicizia tra la collezionista e gli artisti.
Nell’ordinare le varie sale, Barbero ha tenuto conto delle biografie di alcuni pittori. Ha dedicato un’intera sala a Jackson Pollock, creando una delle rare occasioni in cui si può osservare la sua parabola, dagli esordi in cui si avverte l’influenza di Picasso e del surrealismo, alla scoperta del «dripping», la tecnica che consiste nel far gocciolare il colore su una tela posta in orizzontale, fino alle evoluzioni dell’«action painting», in cui Pollock pratica il gocciolamento con i gesti coreografici dei riti magico-propiziatori dei Nativi americani.
Struggente la sala riservata a Mark Rothko, con le vaste campiture di colore, i rossi brillanti, i gialli luminosi, che pian piano virano tragicamente verso il grigio e il nero preannunciando il suicidio dell’artista. Fiabesco lo spazio allestito per Alexander Calder, con le sue sculture cinetiche appese al soffitto che danzano nelle correnti d’aria proiettando la loro ombra sulle pareti dove risplendono le grandi tele della pittura americana anni Sessanta, da Morris Louis a Frank Stella.
Una sala è dedicata agli amati italiani, Lucio Fontana e Alberto Burri, Emilio Vedova e Tancredi Parmeggiani, Mirko Basaldella e Pietro Consagra. Un’altra, all’abitazione veneziana di Peggy, con lo Studio per scimpanzé di Bacon, che lei teneva nella parete in fondo al letto.