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 2016  aprile 01 Venerdì calendario

In quarant’anni siamo ingrassati di sei chili

A furia di mangiare abbiamo messo su 6 chili ciascuno, in media, negli ultimi 40 anni. Fra tavole imbandite, merendine e bevande zuccherate, la Terra si ritrova così aggravata da 44 milioni di tonnellate in più fra pance, glutei e maniglie dell’amore. Sappiamo che fa male, sapremmo come evitarlo, eppure non riusciamo a farci niente. Le curve ai fianchi si arrotondano e le curve delle statistiche sull’obesità continuano a puntare all’insù, inesorabilmente.
Gli ultimi grafici vengono pubblicati da uno studio della rivista britannica The Lancet.
Anch’esso è bulimico, si potrebbe dire, visto che comprende dati su un campione di 20 milioni di persone di 186 paesi e dipinge 40 anni di aumento dell’obesità. È il quadro più completo mai pubblicato sul problema che l’umanità ha sviluppato con la bilancia. «In cinquant’anni abbiamo vissuto una rivoluzione nel nostro modo di mangiare che in tempi passati avrebbe richiesto 80 generazioni» spiega Antonino De Lorenzo, ordinario di Nutrizione e alimentazione umana all’università Tor Vergata di Roma.
Spiega infatti The Lancet che dal 1975 al 2014 le persone obese sono passate da 105 milioni a 641 milioni (è obeso chi ha un indice di massa corporea superiore a 30). Gli uomini che si trovano in questa condizione sono più che triplicati, balzando dal 3,2% al 10,8%. Le donne sono “solo” raddoppiate, ma grazie al vantaggio iniziale di cui godevano si ritrovano ancora in testa rispetto all’altro sesso: dal 6,4% sono salite al 14,9%. L’indice di massa corporea (il peso in chili diviso per il quadrato dell’altezza espresso in metri) è passato da 21,7 a 24,2 per gli uomini e da 22,1 a 24,4 per le donne, che ancora una volta si mantengono in vantaggio. È come, calcola The Lancet, se ogni persona del mondo fosse aumentata di 1,5 chili ogni dieci anni. Di questo passo, nel 2025 un individuo su cinque nel mondo sarà obeso.
L’effetto positivo di questa abbondanza di calorie è che la fame nel mondo è diminuita, anche se più lentamente rispetto all’aumento dell’obesità. Le persone sottopeso (indice di massa corporea inferiore a 18,5) si sono ridotte di un terzo, arrivando all’8,8% per gli uomini e al 9,7% per le donne. Mangiare a sufficienza è ancora un problema in India, in alcune aree del sud-est asiatico e in Africa a sud del Sahara. Ma di certo non possiamo cantare vittoria solo perché siamo passati dalla padella alla brace.
Se la forza di volontà dell’umanità è insufficiente per affrontare diete e ginnastica e l’industria farmaceutica non è mai riuscita a mettere a punto una pillola veramente efficace e sicura, il rimedio per perdere chili secondo gli esperti dovrebbe arrivare direttamente dagli stati. «Per contrastare l’obesità occorre che i governi decidano di agire» spiega ad esempio Majid Ezzati, che insegna alla Scuola di salute pubblica dell’Imperial College London e ha coordinato il mastodontico studio. «Bisogna trovare il modo di favorire i cibi salutari come frutta fresca, verdure, legumi e cereali integrali, rendendoli più economici. Regolando invece, e facendo aumentare di prezzo, i cibi molto processati e più dannosi per l’organismo. Molti paesi fino a oggi sono stati riluttanti a prendere misure di questo tipo» spiega ancora il ricercatore. «Ma se l’andamento attuale proseguirà, nel 2025 le donne gravemente obese (indice di massa corporea superiore a 35, ndr) saranno più numerose di quelle malnutrite».
Se la Cina ha raggiunto gli Stati Uniti nella classifica degli obesi e dei super-obesi (che sono passati da due milioni e mezzo nel 1975 a circa cento milioni oggi), l’Italia continua ad aumentare di peso, ma in maniera leggermente inferiore rispetto ai grassi paesi anglosassoni. Un curioso paradosso – cui The Lancet non riesce però a dare una spiegazione – è che nessun aumento di peso è stato registrato fra le donne francesi, svizzere e olandesi. Segno che vino, formaggio e cioccolata non sono necessariamente una condanna all’aumento di taglia. E che laddove il cibo è cultura e non spazzatura la lotta all’obesità risulta in qualche modo più faci- le. «Non abbiamo cambiato solo dieta. Negli ultimi cinquant’anni abbiamo cambiato in maniera radicale il nostro stile di vita» spiega Rosalba Giacco, ricercatrice dell’Istituto di scienze alimentari del Cnr ad Avellino. «Oggi braccia e gambe non ci servono più. Lo sforzo che facciamo si limita troppo spesso all’accendere e spegnere macchine. Per cambiare strada bisognerebbe stravolgere la composizione degli scaffali dei nostri supermercati. Anche con una tassa sui prodotti meno salutari, se necessario. Non possiamo vincere la battaglia contro l’obesità se una lasagna preconfezionata costa meno di una porzione di verdura fresca e nelle nostre città mancano piste ciclabili o parchi in cui camminare». In Gran Bretagna – il Paese europeo più rotondo insieme alla Germania – il governo ha progettato la costruzione, nei prossimi 15 anni, di dieci “città della salute” con parchi, passeggiate e aree senza fast food vicino alle scuole.
A sancire quella che Laura Di Renzo, professoressa di Nutrizione clinica e nutrigenomica a Tor Vergata, definisce «la globalizzazione del gusto» e «la droga degli ingredienti che stimolano il nostro sistema del piacere, con grassi, zuccheri, sale e magari anche sostanze piccanti tutti in uno stesso cibo» è l’estinzione o quasi della dieta mediterranea. «Esiste un indice di adeguatezza mediterranea che descrive quanto quel che mangiamo risponde ai criteri della nostra dieta tradizionale. Tra gli anni ‘60 e ‘70 era 7,5. Oggi è inferiore a uno» spiega De Lorenzo. Secondo un suo studio uscito l’anno scorso, le regole della dieta mediterranea, in Italia, sono seguite ormai solo da un adulto su due e da un giovane su tre. «Occorrono incentivi fiscali per i contadini che producono cibi sani e biologici» suggerisce De Lorenzo. «È pur sempre meglio pagare loro che non i farmacisti».