1 aprile 2016
Quattro brevi ritratti di Vincenzo Boccia, il nuovo presidente di Confindustria
Michelangelo Borrillo per il Corriere della Sera
La sua vera passione è il lavoro. Gli amici più stretti del presidente designato degli industriali italiani, Vincenzo Boccia, lo descrivono como un uomo casa-azienda-Confindustria. È vero, negli anni passati ha amato la motocicletta e le curve basse sulla Costiera Amalfitana, gli piace la musica classica e, quando può, il successore di Giorgio Squinzi passa del tempo con i suoi amati cani (ne ha avuti sempre di grossa taglia). Ma ormai da anni, da quando ha assunto incarichi di rilievo in Confindustria – prima presidente della Piccola Industria, poi delegato al credito – l’azienda e l’associazione sono le uniche passioni che occupano il suo tempo, sottraendone alla famiglia. Che resta, però, un valore fondamentale nella vita di Boccia: la moglie Gabriella, due figlie studentesse, il fratello Maurizio e, soprattutto, il padre Orazio. Perché la vera storia da raccontare, nella famiglia Boccia, è quella del capostipite. Lo ha fatto, in un libro edito da Laterza («Arti Grafiche Boccia: un’impresa italiana all’avanguardia», pubblicato a novembre 2015 dopo un anno e mezzo a contatto con Orazio, Vincenzo e Maurizio Boccia), Valerio Castronovo, dal 1972 al 2004 professore di Storia contemporanea all’Università di Torino. «Mai avrei pensato che Enzo potesse diventare presidente degli industriali italiani. Perché, se c’è un imprenditore che rappresenta la discontinuità in Confindustria è proprio Enzo».
Al di là, quindi, dei proclami di continuità, il 52enne Boccia rappresenta il nuovo: imprenditore di una piccola impresa (anche se, ormai, nel comparto grafico è almeno tra le medie), innovatore in un settore maturo, meridionale. Nella storia di Confindustria c’è stato solo un altro presidente del Sud: Antonio D’Amato, eletto nel 2000, anch’egli campano ma molto diverso da Boccia, tanto che non lo ha sostenuto nella corsa alla presidenza: rappresentante della grande impresa e napoletano, D’Amato; paladino della piccola industria e della provincia, Boccia. Di quella Salerno che, dopo il presidente di Regione, si è presa un’altra bella soddisfazione nei confronti della capitale del Sud.
Le origini di Orazio, il capostipite, sono umilissime. E questa forse è la sua più grande discontinuità, anche se nella storia dei presidenti di Confindustria non sono mancati figli di artigiani, come Luigi Lucchini. Orazio rimase orfano a 12 anni, quando morì il padre, scaricatore al porto di Salerno. E dopo lo sbarco degli americani, nel ‘44, Orazio si diede da fare anche come lustrascarpe. Lo sciuscià, nella sua disgrazia, ebbe anche un colpo di fortuna: quello di incontrare in orfanotrofio un profugo istriano che gli insegnò le prime nozioni di tipografo. E così, nel ‘50, quando a 18 anni lasciò l’orfanotrofio, Orazio potè dedicarsi alla tipografia in un piccolo laboratorio ricavato in un sottoscala. Ma produrre gli stampati, per un militante comunista, in una regione democristiana come la Campania, non fu facile. Orazio riuscì a stampare qualche giornaletto per il Pci locale, che pagava con difficoltà, e la prima vera commessa arrivò da fuori regione, dalla Toscana.
Evidentemente, guardare oltre i confini del proprio orto, è nel dna della famiglia. Perché il grande merito del presidente designato di Confindustria, Vincenzo Boccia, è stato quello di internazionalizzare l’azienda di famiglia, oltre che di innovarla. Se oggi Arti Grafiche Boccia conta 160 dipendenti (incentivati da un contratto con incrementi salariali legati a quelli di produttività) lo deve anche a un fatturato di oltre 40 milioni di cui un terzo realizzato all’estero, con uffici a Parigi, Beirut, Norimberga e Aarhus. E a un successo legato alla stampa di Repubblica nel Sud Italia per 10 anni (dal 2004) e alle etichette della Ferrarelle e delle figurine Panini, ma anche delle riviste del Nord Europa, prima fra tutte il catalogo della svedese Ikea. Perché la grande intuizione di Boccia, in un settore maturo e spesso in crisi, è stata quella di capire, tra i primi, l’opportunità del web: poter stampare per clienti lontani grazie a un pdf mandato via Internet. L’innovazione, prima di tutto.
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Dario Del Porto per la Repubblica
Il veto di Antonio D’Amato e l’opposizione di Luca di Montezemolo non sono riusciti a sbarrargli la strada. Essere arrivato al vertice di viale dell’Astronomia senza il sostegno di due dei suo predecessori e, per giunta, con il voto contrario di due realtà importanti della sua stessa regione di provenienza come Napoli e Benevento, attribuisce significato ancora maggiore alla rimonta di Vincenzo Boccia, l’imprenditore salernitano di 52 anni, sposato e padre di due figli, erede dell’azienda grafica di famiglia che attualmente impiega 160 persone e può vantare un fatturato di 40 milioni di euro. Un terzo degli affari della Arti Grafiche Boccia è all’estero, gli uffici della società sono dislocati anche in Francia, Germania, Danimarca e Libano. Negli ultimi 10 anni, l’azienda è cresciuta dell’85 per cento in termini di capitale umano e del 200 per cento quanto a giro d’affari. «Imprenditore e insieme “uomo di sistema” », si definisce.
La designazione alla presidenza di Confindustria giunge al culmine di un percorso associativo partito da lontano che ha visto Boccia scalare pazientemente prima il gruppo Giovani imprenditori, di cui è stato presidente a Salerno e in Campania, per poi diventare vice presidente nazionale, nel 2000, nella giunta di Edoardo Garrone, quindi la Piccola industria: nel 2003 come presidente regionale, due anni dopo come vicepresidente nazionale, nel novembre 2009 come presidente nazionale e numero due di Confindustria. Non a caso, saranno proprio i giovani oggi guidati da Marco Gay e la Piccola industria a garantire un sostegno importante alla corsa di Boccia che, nella squadra del suo predecessore, Giorgio Squinzi, ha ricevuto la delega per l’accesso al credito. Tutti elementi che contribuiscono ad attribuire alla candidatura dell’imprenditore salernitano quell’«alto profilo confindustriale» su cui intessere la tela dei consensi nella fase decisiva della competizione.
Ma si rivelerà determinante anche l’appoggio di Luigi Abe- te e del comparto metalmeccanico che si riconosce in un altro ex presidente, Emma Marcegaglia. Dalla sua parte si schierano regioni come Sardegna, Sicilia, Calabria, Puglia, Basilicata, le associazioni territoriali di Piemonte e Val d’Aosta, Confindustria Toscana Sud e Nord. Gli vota contro invece Napoli, dove il peso di D’Amato è ancora forte, che si esprime con 38 voti a favore di Alberto Vacchi, venti in più di quelli ottenuti da Boccia. Si schierano con il suo sfidante anche Assolombarda, Marco Tronchetti Provera e Luca di Montezemolo. Ma anche quando nell’aria sembra profilarsi un insuccesso, Boccia continua a credere nella possibilità di raggiungere i consensi necessari per salire al piano nobile di viale dell’Astronomia. I fatti gli danno ragione. Adesso lo aspetta la sfida più difficile, quella di ricucire una Confindustria che esce profondamente divisa da questa competizione elettorale.
Teodoro Chiarelli per La Stampa
Chi sperava, e non sono pochi, in un cambiamento radicale di Confindustria sarà rimasto deluso. La designazione alla presidenza di Vincenzo Boccia, imprenditore salernitano, avviene infatti nel segno della più classica continuità con i predecessori Giorgio Squinzi ed Emma Marcegaglia. A scanso di equivoci, il neo presidente lo ha scritto anche nel suo programma elettorale: «Non userò mai il termine discontinuità, lo ritengo irrispettoso per chi ci ha preceduto». Del resto sarebbe stato difficile aspettarsi un atteggiamento diverso da parte di un piccolo industriale da oltre vent’anni, fin dai tempi del Gruppo Giovani, avvezzo a percorrere i corridoi di viale dell’Astronomia, dove ha investito con costanza il suo impegno fino a costruirsi una ribalta di livello nazionale.
Continuità, dunque, con gli ultimi past president, dei quali si considera un po’ il delfino. Anche se questo porta inevitabilmente a una spaccatura profonda all’interno dell’organizzazione, cosa per altro clamorosamente evidenziata dalla votazione di ieri. E poi vicinanza, e appoggio, alla complessa e un po’ sclerotizzata struttura confindustriale: macchina poderosa (e costosa), ma secondo molti degna alter ego, più che controparte, dei sindacalisti di professione. Un gioco delle parti che ha contribuito e contribuisce non poco a ingessare il sistema Italia.
Sarebbe un errore, però, guardare a Boccia come a un semplice epigono dei professionisti dell’organizzazione, ventriloquo di maggiorenti come Squinzi, Marcegaglia o Luigi Abete. L’uomo è comunque portatore di propri valori e non si tira indietro quando si tratta di farli valere. Chi lo apprezza ne sottolinea la capacità di dialogo e l’abilità nel fare squadra e sistema. Cosa che gli ha consentito di guadagnare consensi da Nord a Sud e fra grandi e piccoli industriali.
Sicuramente interessante, anche se destinata a scatenare discussioni accese, soprattutto con i sindacati, è la sua proposta di cambiare le relazioni industriali, superando il ruolo centrale che ha sempre avuto il contratto nazionale. L’obiettivo è trasformare il livello aziendale di contrattazione nella sede dove realizzare lo scambio fra i miglioramenti organizzativi e di produttività chiesti dalle imprese con gli incrementi salariali. Con la facoltà di derogare, ha ripetuto durante la sua campagna elettorale, al contratto nazionale.
Europeista convinto, Boccia è sulla linea del premier Matteo Renzi per quanto riguarda i flussi migratori e la necessità di rimodulare l’agenda della competitività della Ue. Tre i fattori hanno pesato in maniera determinante, secondo lui, sulla bassa crescita dell’economia italia. Il primo è l’inefficienza del settore pubblico e la cattiva allocazione delle risorse. Il secondo è stato il grave peggioramento della qualità delle istituzioni dalle quali dipende la crescita (leggi, giustizia, macchina amministrativa). Il terzo fattore è la bassa produttività, derivante principalmente da un sistema disfunzionale di determinazione dei salari.
Figlio d’arte, classe 1964, sposato, due figlie, Boccia ama la musica classica e adora Ciajkovskij e Beethoven. Giovane veterano di viale dell’Astronomia, ma anche imprenditore “vero” e appassionato. Vive a Pontecagnano, provincia di Salerno, a poca distanza dallo stabilimento di famiglia Arti Grafiche Boccia, fondato dal geniale padre Orazio. Un’azienda del Mezzogiorno che oggi conta 160 dipendenti e un fatturato di oltre 40 milioni di cui un terzo realizzato all’estero, con uffici a Parigi, Beirut, Norimberga e Aarhus. Vero e proprio artista della grafica, ha legato il proprio nome alla stampa delle più esclusive riviste di design del Nord Europa. È lui che stampa i cataloghi Ikea, una delle pubblicazioni più diffuse al mondo. E sempre alla sua azienda si devono le etichette dell’acqua Ferrarelle o i mitici album delle figurine Panini.
Negli ultimi anni Boccia è stato l’uomo di Confindustria sul fronte del credito, sia in Italia che in Europa, interfaccia dell’Abi molto apprezzato da Squinzi e dalla Marcegaglia. Un fronte che promette di essere molto caldo durante il periodo di presidenza che lo attende.
Nunzia Penelope per il Fatto Quotidiano
Un piccolo imprenditore contro una multinazionale, 40 milioni di fatturato contro un miliardo e passa, la provincia del Sud contro la Grande Industria del Nord: il succo dello scontro che ha portato Vincenzo Boccia alla guida di Confindustria è tutto qui. “Davide contro Golia’’, commenta qualcuno, riferendosi al rapporto, dimensionale ma non solo, tra Boccia e Vacchi. Altri evocano lo scontro che nel 2000 contrappose l’outsider Antonio D’Amato al candidato della grande industria Carlo Callieri. Ma questa volta D’Amato, nemico giurato di Boccia, sosteneva Alberto Vacchi, che dalla sua aveva uno schieramento di sostenitori pesante più o meno quanto il 70 per cento del Pil industriale del paese. Davide qualche volta vince contro Golia, ma poi deve governare: chi conosce Boccia lo definisce “un sognatore’’, ma avrà poco da sognare come presidente di una Confindustria spaccata al suo interno da questa elezione a sorpresa.
I suoi supporter ricordano che non è certo il primo “piccolo’’ salito alla massima carica di Viale dell’Astronomia: prima di lui c’era stato nel 1992 Luigi Abete, tipografo romano, e poi nel 1996 Giorgio Fossa, “tondinaro’’ di Gallarate. Fatturati anche inferiori a quelli che oggi vantano le Arti Grafiche Boccia di Salerno, 160 dipendenti, 40 milioni realizzati per un terzo all’estero, creata dal nulla dal padre di Vincenzo, Orazio detto “lo scugnizzo’’, self made man cresciuto in orfanotrofio, e passata negli anni per varie traversie, tra cui una truffa da 4 miliardi di lire subita nel 1993. Si è ripresa e ne è uscita, giusto in concomitanza con l’arrivo della seconda generazione, quella di Vincenzo: classe 1964, Capricorno, laurea in economia, moglie e figli, passione per la musica, scarsa dimestichezza con le lingue straniere.
Oggi l’Agb stampa di tutto, dai cataloghi Ikea alle figurine Panini, dalle etichette per la Ferrarelle e quelle per il cibo per gatti: settore, a quanto si dice, tra i più fruttuosi. Ma negli anni non sono mancate le commesse pubbliche: dai ricettari per il Servizio Sanitario Nazionale, ai 730 e Unico per l’Agenzia delle Entrate.
Nel 2014 l’azienda ha avuto un altro momento di difficoltà, legato alla fine del contratto decennale col gruppo l’Espresso per la stampa di Repubblica. Ne è seguito un ridimensionamento e il taglio di una cinquantina di addetti, scesi da oltre 200 agli attuali 160. Boccia ha reagito seraficamente: a chi gli chiedeva se si fosse reso conto dell’arrivo della crisi, ha replicato “no, ma qui al sud siamo in crisi sempre’’. Nuovamente ne è uscito, tanto che nel 2015 era trionfalmente all’Expo di Milano, ricevendo anche i complimenti del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, così come un paio di anni fa aveva ricevuto quelli di Giorgio Napolitano, peraltro amico di famiglia.
Politicamente Boccia viene collocato nel centro sinistra, più centro che sinistra, sicuramente non destra. Al governo Renzi ha fatto una apertura di credito, apprezzandone il pragmatismo sulle riforme e promettendo appoggio. Ottimi rapporti anche con Vincenzo De Luca, renzianissimo presidente della Campania, tra i primi a congratularsi per l’elezione.
Che altro dire, di Boccia. Che ha il gusto per le frasi a effetto, da Einstein in giù (“noi lavoriamo solo a idee che agli altri possono sembrare assurde, perché vogliamo avere delle alte probabilità di realizzazione”), tanto che qualcuna si ritrova perfino nel testo dell’accordo integrativo della sua azienda, dove si legge: “Siamo un’unica squadra che gioca insieme per vincere il campionato della professione e della vita’’. Chissà cosa ne pensano i sindacati firmatari. Con i quali, va detto, ha un buon rapporto. Che ora però dovrà trasferire a un livello superiore: il primo banco di prova da presidente di Confindustria sarà riprendere il filo della trattativa con Cgil, Cisl e Uil per il “rinnovamento’’ dei contratti, mai decollato con la gestione Squinzi.
Fin qui Boccia ha affrontato la questione solo di striscio, ma piantando un paio di paletti, il primo dei quali è uno stop al governo: “La questione contrattuale e della rappresentanza appartiene alle forze sociali, a noi il diritto e la responsabilità di affrontarla in modo ambizioso. Non vogliamo regole imposte dall’esterno”. L’altro paletto è a favore del sindacato, a cui riconosce la bontà degli accordi interconfederali del 2011 e 2013, gli ultimi che la Confindustria ha firmato con Cgil, Cisl e Uil prima del “grande freddo”. Vedremo se il piccolo Boccia riuscirà a scongelarlo.