la Repubblica, 1 aprile 2016
Confindustria ha scelto la continuità
Confindustria spaccata, come un vecchio partito del Novecento. Nove voti del Consiglio generale fanno la differenza per scegliere Vincenzo Boccia come prossimo presidente di Viale dell’Astronomia. Un tempo tra le grisaglie confindustriali (le donne continuano ad essere una minoranza) vigeva la regola dell’unanimismo denso di ipocrisia ma in grado di salvare la faccia. Ora non più. Ora al termine della riunione del “parlamentino” Luca Cordero di Montezemolo, già presidente dell’associazione, non ha per nulla nascosto la sconfitta: «È stata persa una opportunità unica di cambiamento». Perché Montezemolo è tra gli sconfitti in questa feroce battaglia che potrebbe avere strascichi nel voto dell’assemblea che il 25 maggio eleggerà formalmente il successore di Giorgio Squinzi. E poi ancora nella nomina dei vertici delle controllate confindustriali, dal Sole 24 Ore all’università Luiss. Montezemolo insieme all’Assolombarda di Gianfelice Rocca (cioè la territoriale di Milano più potente dell’interno sistema confindustriale), a Marco Tronchetti Provera e Alberto Bombassei, erano per Alberto Vacchi. Boccia sarà il presidente scelto senza i voti dell’azionista di riferimento. Per la prima volta si potrebbe sperimentare in Confindustria la dialettica (tipica dei partiti) tra maggioranza e minoranza. Lo sconfitto Vacchi è stato l’unico a ricorre al fair play («faccio i miei migliori auguri a Boccia») ma tra i suoi sostenitori nessuno ha abbassato i toni. Antonio D’Amato, anch’egli past president: «Si sono confrontati due modi assolutamente diversi e contrapposti di fare e interpretare la rappresentanza imprenditoriale». Si mescolano, in queste dichiarazioni insolite per la tradizione di Viale dell’Astronomia, vecchie ruggini (D’Amato e Boccia, per esempio, non si sono mai amati), sfide permanenti (quella tra Montezemolo ed Emma Marcegaglia, grande elettrice di Boccia), ma anche proposte diverse per cambiare una Confindustria che fa ormai fatica a nascondere le sue rughe. Vacchi, espressione delle multinazionali tascabili tricolori (la sua Ima è quotata e fattura un miliardo l’anno), si è candidato all’insegna di una “discontinuità”; Boccia, piccolo imprenditore del Sud, ha una lunga esperienza confindustriale (è stato vicepresidente dei Giovani, presidente della Piccola Industria, delegato al credito nella squadra di Giorgio Squinzi) è stato percepito come il candidato della continuità e soprattutto ha esplicitamente affermato che mai avrebbe fatto ricorso alla stessa espressione di Vacchi. «Credo che potremo assicurare una linea di continuità all’azione di Confindustria», ha detto significativamente Squinzi presentando ai giornalisti il suo successore. Continuità, dunque. Che per Boccia è compatibile con il «cambiamento». Anzi proprio questa formula (“cambiamento nella continuità”), presa in prestito dal vecchio politichese, è stata vincente. Gli imprenditori non amano le rivoluzioni (sempre che Vacchi fosse in grado di farla), tanto più quando possono riguardare se stessi. Nella logica della continuità ha rivinto, in questo scontro di potere (evidentemente Confindustria per gli industriali serve ancora) Emma Marcegaglia, forte dei tanti ruoli che interpreta (ad del gruppo siderurgico di famiglia, presidente dell’Eni, della Luiss e della Confindustria europea), è stata la regista quattro anni fa della vittoria di Squinzi contro Bombassei (sostenuto a suo tempo da Montezemolo) e ora di quella di Boccia. E nella continuità sarà anche il rapporto con il governo, con questo governo Renzi che – stando a rumors – parteggiava per Boccia contro un Vacchi considerato prodiano e filo-Cgil. D’altra parte Boccia l’ha detto illustrando il suo programma: «L’esecutivo Renzi va sostenuto nello sforzo innovatore, stimolarlo se esita, criticarlo se sbaglia». Ma la vera partita sarà quella per cambiare i contratti. Boccia appare risoluto, qui davvero all’insegna della discontinuità. Dovrà però fare i conti con i piccoli industriali italiani che l’hanno scelto e che non vogliono cambiare. Così “cambiamento nella continuità” potrebbe tornare ad essere di nuovo un ossimoro.