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 2016  aprile 01 Venerdì calendario

Il caso Guidi e quell’emendamento su Tempa Rossa. Ecco come sono andate le cose

Ilaria Sacchettoni per il Corriere della Sera
Pressioni per ottenere sponsorizzazioni politiche, pretese in denaro e richieste di favori. Su Tempa Rossa, strategica per lo sfruttamento del giacimento d’idrocarburi nell’area di Potenza al centro di un’inchiesta della procura locale, cade il ministro allo Sviluppo economico Federica Guidi (in attesa di scegliere il successore, in pole ci sono Teresa Bellanova e Vasco Errani, l’interim va a Matteo Renzi) [sulle dimissioni del ministro Guidi leggi anche il fatto del giorno]. I carabinieri del Noe e gli agenti della Mobile hanno eseguito ieri cinque arresti ai domiciliari più un divieto di dimora. Fra i sottoposti a misure cautelari c’è l’ex sindaco Pd della provincia di Potenza (Corleto Perticara) Rosaria Vicino e il suo vice dell’epoca Giambattista Genovese.
Ma più che alla fede Pd dei politici locali coinvolti nelle indagini, la causa scatenante delle polemiche viene dalle intercettazioni dell’inchiesta. In una, si sente il ministro Guidi dialogare con il suo compagno, l’imprenditore delle Its srl e Ponterosso Engineering Gianluca Gemelli, indagato per corruzione e traffico di influenze illecite. A novembre 2014, la Guidi anticipa l’approvazione di un emendamento su Tempa Rossa nel patto di stabilità. «Domani – dice a Gemelli – dovremmo riuscire ad approvare quell’emendamento». Più avanti, sempre sulla stessa questione, aggiunge: «Dovremmo riuscire a mettere dentro al Senato anche Mariaele (ossia Maria Elena Boschi, attuale ministra per le Riforme, ndr)». L’intercettazione, a fine giornata, ha suggerito a Guidi di presentare le dimissioni al premier «per ragioni di opportunità politica» pur rivendicando «la correttezza del mio operato». «Cara Federica, ho molto apprezzato il tuo lavoro di questi anni», è stata la risposta di Matteo Renzi, che però ha aggiunto di «condividere» l’opportunità del passo indietro. Ma non è l’unico passaggio a imbarazzare il governo. In un altro caso si sente il sottosegretario alla Salute Vito De Filippo offrire la propria generica disponibilità a un secondo imprenditore indagato per corruzione, Pasquale Criscuolo. Il sottosegretario lo invita a far riferimento a una sua collaboratrice, «in grado di risolverti molti problemi a Roma», dice.
Ma è Gemelli al centro del caso più eclatante. Dalle intercettazioni sono emersi accordi illeciti con l’amministrazione locale. Secondo i magistrati il compagno di Guidi avrebbe stipulato un patto con la giunta di centrosinistra in cambio di una sponsorizzazione che gli facesse fare il vero salto di qualità imprenditoriale: entrare nella lista delle imprese eccellenti al vaglio della francese Total. In cambio, sempre stando alle cimici della procura di Potenza, avrebbe privilegiato gli immobili della Outsorcing srl (vicina alla sindaco) per ospitare la manodopera imprenditoriale. L’inchiesta per la quale sono indagate in tutto ventitrè persone era partita da verifiche su un caso di traffico e smaltimento illecito di rifiuti. In seguito, scrive la gip, le indagini hanno svelato «un ben sperimentato e consolidato sistema di malaffare caratterizzato da tutta una serie di reati contro la pubblica amministrazione».
«Forse il governo, dopo oltre due anni, ha bisogno di un tagliando» dice dal fronte della minoranza pd Gianni Cuperlo. E mentre Sel si era detta pronta a una mozione di sfiducia contro Guidi, i 5 Stelle definiscono «gravissimo il coinvolgimento del ministro Guidi e, probabilmente del ministro Boschi e del sottosegretario lucano De Filippo e di altri membri del governo Renzi, nella vicenda. Denunciammo quell’emendamento e tentammo in tutti i modi di fermarlo».

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Alessandro Trocino per il Corriere della Sera
Quando, il 12 settembre 2014, Matteo Renzi andò a Taranto, fu accolto dalle proteste del movimento «Stop Tempa Rossa». Alle quali rispose promettendo un approfondimento ma sottolineando anche che si trattava di un progetto strategico e che c’era «un elemento di tensione slegato dai problemi». La posizione favorevole del governo sullo sblocco del progetto, che prevede lo smistamento a Taranto del petrolio proveniente dalla Basilicata, era dunque già sostanzialmente presa. Ma l’iter che ha portato al via libera dell’emendamento nella legge di Stabilità, quello incriminato nelle intercettazioni con il ministro Federica Guidi, è stato travagliato, tra ricorsi al Tar, opposizioni del Comune di Taranto, improvvise fuoriuscite da una legge (lo Sblocca Italia) e approdo definitivo in un’altra, la Stabilità.
Nel settembre 2014, il progetto viene considerato dal ministero dello Sviluppo economico come «il principale programma privato di sviluppo industriale in corso in Italia»: vale 300 milioni, due anni di lavoro e 300 assunzioni. Ma il progetto è anche molto contestato. Ci sono gli ambientalisti, che temono un aumento dell’inquinamento (nonostante le assicurazioni delle compagnie di una riduzione delle emissioni). Ci sono gli esponenti di Sel locali che premono sul governatore Nichi Vendola per rivedere la posizione della Regione Puglia favorevole al progetto. E c’è il Comune di Taranto. Che, dopo un primo parere positivo, cambia idea e vieta nel piano regolatore portuale le opere nella raffineria Eni. Un articolo su Formiche firmato da Federico Pirro, del Centro studi di Confindustria Puglia, spiega: «Tempa Rossa: così Renzi vuole sconfiggere l’estremismo ambientalista in Puglia».
A ottobre in commissione Ambiente viene presentato da Simona Vicari un emendamento nello Sblocca Italia che rende strategico il progetto Tempa Rossa. Racconta Mirella Liuzzi, dei 5 Stelle: «Il folle emendamento fu ritirato e dichiarato inammissibile il 17 ottobre, dopo le nostre proteste, durate tutta la notte».
Ma il 14 dicembre del 2014, tra gli emendamenti presentati dal governo alla legge di Stabilità, rispunta una norma per sbloccare il progetto. Protestano ancora i 5 Stelle, con una serie di subemendamenti e con interventi di Gianni Girotto, capogruppo M5S della Commissione Industria del Senato: «Questo è un emendamento marchetta, che chiude il cerchio dei favori alla lobby del fossile».
La norma viene approvata dal Senato con la fiducia in un maxiemendamento: si estende, con il comma 552, l’autorizzazione unica anche per le infrastrutture a valle del progetto, comprese quelle «al di fuori» del perimetro delle concessioni. Ovvero a Taranto. Norma che potrebbe generare, si dice, «rilevanti entrate fiscali aggiuntive», con «importanti ricadute occupazionali».
Nonostante l’emendamento, il progetto resta fermo. Le compagnie decidono allora di fare ricorso contro la delibera del Comune di Taranto. Nel giugno del 2015 arriva la decisione del Tar, che annulla la delibera del Comune di Taranto che blocca le opere. Nella motivazione, la mancanza di confronto con le parti e il fatto che i due serbatoi di stoccaggio sono in aree private dell’Eni e quindi non rientrano nel piano regolatore del porto.
Dopo il verdetto del Tar, il 19 dicembre 2015 arriva un via libera dal Ministero degli Affari Economici, dopo una Conferenza di Servizi: «Sussistono i presupposti per l’emanazione del provvedimento di autorizzazione, previa intesa con la Regione Puglia». Il resto è storia e cronaca giudiziaria.