ItaliaOggi, 31 marzo 2016
I talk sono come una corrida, con toro e toreri. Personaggi e interpreti
Ieri ho raccontato la drammatica giornata di martedì 22 marzo 2016 attraverso gli occhi e la mente di un comune analista come me. Oggi provo a raccontare la settimana che ne è seguita. Noi dei media abbiamo rispettato il protocollo autodenigratorio dettatoci dall’establishment: i colpevoli (terroristi esclusi) sono i servizi segreti che non si parlano (curioso, visto che dipendono tutti dai rispettivi 28 premier) e il Belgio, «un paese fallito» (curioso se detto dagli altri 27 altrettanto falliti). Abbiamo così declinato questa scelta politica preconfezionata, senza mai usare la parola Islam, men che meno la locuzione «guerra di civiltà», ci siamo persino censurati su «settimana santa e insanguinata». Per 7 giorni mi sono ubriacato di news, di talk show, di analisi di ogni tipo (persino di Fiorella Mannoia), sono stremato. I talk italiani sono faticosi, si capisce poco, le voci si accavallano, il format è standardizzato sullo scontro politico interno. Lo scenario? Quello della corrida, uno viene designato «Toro», gli altri sono autorizzarti a colpirlo con banderillas di vari colori. Dietro le quinte, gli autori sorridono, l’editore si fa maschera.
Personaggi e interpreti:
1 Il «filosofo uno». È un mito, si staglia minaccioso nel monitor alto (non è in studio, corrucciato ci osserva da Utopia, si atteggia a Tommaso Moro ma è solo una copia carbone di Bernard-Henri Lévi). Non nasconde il suo disagio nel dover parlare con plebei, non colloquia, emette sentenze, quando è in forma ha la sintesi dei vecchi baci perugina, una perenne irrequietezza lo pervade. Il conduttore lo tiene d’occhio, ruffianandosi con lui: teme che abbandoni la trasmissione;
2 Il «filosofo due», presente in studio, meno colto di «Uno», stessi i difetti abilmente mascherati, è prudente, sa di essere un precario dei talk. Mentre filosofo uno sul dibattito poco sa, lui ha consultato Wikipedia, ha letto il fondo di qualche trombone, gli sono rimasti appiccicati un concetto, uno straccio di frase, assembla il tutto, e si spaccia da esperto;
3 Il «retroscenista di regime», il sogno di chiunque faccia il nostro mestiere: più importante di un ministro, più del portavoce. Solo il retroscenista conosce il pensiero autentico del «capo», sa che dire e come, ha un chiaro modello di riferimento: è fedele come Eva Braun, allineato come Molotov. Con lui il conduttore si fa tappettino, lo sa, se irrita il filosofo uno può avere un richiamo dall’editore, una parolina di Eva e perde il posto.
4/5 «politico uno» (Pd) e «politico due» (a turno Lega, Sinistra, FI). Due dignitose figurine Panini. Politico uno è in imbarazzo, deve limitarsi a declinare le posizioni del «capo», mostrarsi disgustato verso il «toro» (il retroscenista lo spia). Politico due, invece, è tranquillo, sa che chi verrà matato sarà il «toro», non lui, così svolge il suo compitino. Se è della Sinistra ha un privilegio (un tempo il capo la pensava come lui), se è della Lega/FI sa che il conduttore ricupererà con lui quella tolleranza che non avrà con il «toro».
6 Il «toro». Figura chiave su cui si poggia il talk. Uno emerge su tutti, non me ne voglia se, pur non conoscendolo di persona, lo cito. Come Sean Connory sarà per sempre 007, così Maurizio Gasparri è perfetto per il ruolo di «toro tv». Nell’attuale contesto cultural-politico non ha neppure una briciola di pensiero accettabile: è politicamente scorretto (e pure emotivamente), ex fascista, maschilista, anti gay, anti animalisti, anti vegani, berlusconiano d’antan, cattolico ma contro il Bergoglio che lava i piedi ai musulmani, battutista sublime. Un consiglio onorevole: quando si accorgerà di essere diventato macchietta, getti la spugna.
7 Il «conduttore». Un santo. Deve sopportare le bizze di filosofo uno, ascoltare le banalità di filosofo due, guardarsi dal losco retroscenista di regime, ottimizzare politico uno e politico due, contribuire a matare il toro, senza apparire. Schiavo di una scaletta affannosa, ha troppi «servizi» da piazzare, è il terminale di un mondo in crisi, che però deve apparire vincente. Sa che la merce del suo banchetto è scaduta, vecchio il linguaggio che deve usare, vecchi i telespettatori (pochi giovani guardano i talk), vecchio il Paese, così i suoi governanti. Vive, a disagio, in un mondo di rifatti. Ha la mia simpatia.
7 bis La «claque». Sono gli unici autentici di questo circo. Per me, mitica per la sua indipendenza, è quella di «Aria che tira». Claque nata e vissuta nel più ottuso antiberlusconismo ha ricuperato dignità, è rimasta fedele alla sinistra (ora diventata minoranza) e non lo nasconde. Dell’intero circo ormai solo loro fanno meta comunicazione indipendente. Li ammiro.
Mi accorgo che ho parlato del mezzo, dei mediatori, ma non dei contenuti. Vi assicuro, non c’erano proprio. È stata una settimana di vuote, simpatiche chiacchiere da bar. La strage di Bruxelles, vergognandosi, si è fatta subito teca.
(2 – segue domani)