La Stampa, 31 marzo 2016
Il declino dei Lakers. Cronaca della peggiore stagione di un club nella leggenda Nba
«Cosa cancellerei del mio ultimo anno Nba? Le sconfitte. Facciamo schifo». È difficile biasimare Kobe Bryant: il suo tour di addio al basket si è trasformato in un calvario, visto che i Los Angeles Lakers stanno vivendo la loro peggior stagione. La frase che Bryant ha rilasciato due mesi fa a Sports Illustrated potrebbe essere riproposta dopo ogni sconfitta della squadra che, da superpotenza, si è trasformata in una barzelletta. Kobe può sorridere soltanto per gli omaggi ricevuti da tutto il Mondo (ieri la Federbasket gli ha regalato una maglia della Nazionale, Bryant ha ricordato l’infanzia in Italia: «Dove c’è tanto da fare per il basket ma piano piano lo faremo, tifo per coach Messina»), perché i Lakers che saluterà il 13 aprile fanno notizia soltanto per le sconfitte e gli scandali. Tutto il contrario della realtà che Bryant, in vent’anni, ha trascinato a cinque titoli rafforzando lo status symbol della squadra più amata dalle star di Hollywood. Del resto, i vincenti non passano di moda e nessuno come i Lakers ha trionfato in ogni generazione, dagli Anni 50 di George Mikan al duo Jerry West-Wilt Chamberlain, dallo showtime Anni 80 di Magic Johnson e Jabbar agli amici-nemici Bryant e Shaquille O’Neal.
Altro che Hollywood
Il tunnel dei californiani è coinciso con i tre gravi infortuni di Bryant (tendine d’Achille, ginocchio e spalle), segnali di un corpo che dopo i 35 anni non gli ha più permesso di reggere le sorti della squadra. E ha inciso la scomparsa del patron Jerry Buss, i cui figli hanno fallito tutte le scelte cruciali. Per scampare alla peggior annata della franchigia nata a Minneapolis e trasferita in California nel 1960 servirebbero sette successi in due settimane: un miracolo per chi, finora, ha vinto un match ogni dieci giorni, mentre l’unico record storico eguagliato è legato alla sconfitta più pesante. Il -48 di lunedì contro Utah ha fatto imbestialire coach Byron Scott: «L’unico giocatore con l’orgoglio e gli attributi per chiedermi di marcare Rodney Hood, a quota 30 a metà gara, è stato Bryant. I miei giovani dovrebbero vergognarsi». Nemmeno 24 ore più tardi, dallo spogliatoio dei Lakers è emerso il «mobbing» contro D’Angelo Russell: il teorico erede di Bryant ha filmato un dialogo con l’ignaro Nick Young (parlando curiosamente di tradimenti…) e l’ha pubblicato, ricevendo pure i complimenti della fidanzata di Young, la cantante Iggy Azalea. Lo stesso Young è sotto inchiesta con un altro compagno – Jordan Clarkson – per gesti osceni nei confronti di due donne a un semaforo di Hollywood. Immaturi, distratti e senza il sacro fuoco, i nuovi Lakers sono l’opposto rispetto a Bryant, uno dei giocatori più feroci di sempre.
La speranza Durant
Per i Lakers, la mediocrità è un inedito: sebbene lo sport americano preveda una rotazione al vertice e in coda – chi perde più gare seleziona per primo tra le scelte dell’anno successivo – a Los Angeles erano sempre sfuggiti al ricambio. I gialloviola hanno raggiunto i playoff in 60 occasioni su 68 e per la prima volta il digiuno è giunto al terzo anno. In estate la franchigia inseguirà Kevin Durant – in scadenza a Oklahoma City – e offrirà al quattro volte capocannoniere soldi, fama planetaria e dodici mesi di sole. E soltanto con il suo sì i Lakers potranno rivedere la luce.