Corriere della Sera, 31 marzo 2016
Le donne dell’automobilismo sono uscite dall’ombra
«Mia madre preoccupata? Macché, lo era molto di più nel vedermi girare di notte in scooter a Milano. Quando ho deciso di correre mi ha sempre sostenuto».
Michela Cerruti rivede il film della sua carriera: 29 anni vissuti a tutto gas, una sterzata brusca nel Gp della parità dei sessi. Sabato rimetterà tuta e casco in Bahrein, sullo stesso circuito dove è atteso il secondo atto della battaglia Mercedes-Ferrari. Debutta nel campionato internazionale Tcr, si gareggia con vetture derivate dalle stradali. Lei con il suo numero 88 e il casco rosa shocking ci tiene a partire con uno sprint. Soprattutto da quando è diventata ambasciatrice delle ragazze in pista: la Fia l’ha voluta nella commissione «Women & Motorsport» in cui c’è anche Susie Wolff (l’ex collaudatrice della Williams e moglie del team principal della Mercedes, Toto. È stata l’ultima donna a girare in una sessione ufficiale di F1, durante le libere del venerdì).
L’obiettivo è nobile: seguire le più brave, sostenerle e dar loro i contatti giusti per andare avanti. Utopia in un mondo declinato tutto al maschile, dove non esistono campionati di genere e il fisico conta forse più che in altri sport? «Ormai siamo in tante in giro» risponde Michela. E anche se la Formula 1 resta «irraggiungibile» nelle altre serie le donne in griglia non destano più stupore. «Potere della comunicazione: i successi di alcune di noi hanno spinto a provarci anche chi prima non aveva il coraggio di farlo. Sono uscite dall’ombra».
Senza dimenticare Maria Teresa De Filippis, la contessa pioniera che per prima abbracciò il volante di una F1 e scomparsa a gennaio di quest’anno, i miti viventi si chiamano Michèle Mouton (presidente della commissione Fia), una capace di domare negli anni Ottanta i mostri da rally del Gruppo B sbancando quattro tappe del Mondiale. Danica Patrick, regina americana della Indycar: ventiquattro anni negli autodromi fra meccanici, ingegneri e set per gli sponsor a sentire sempre lo stesso ritornello: «Come fai a vivere così?». La risposta l’ha già data nel 2008 mettendo in fila tutti i «colleghi».
Se le nuove leve avanzano è grazie all’esperienza delle «veterane»: «Le pilote di adesso seguono il percorso dei maschi: kart a dieci anni e poi le altre formule. Prima invece era molto difficile che la passione si trasformasse in un percorso professionale» spiega Cerruti. Tatiana Calderon e Beitske Visser incarnano il nuovo fenomeno: la prima colombiana, 22 anni, esordirà in Gp3, una delle «palestre» più efficaci per le monoposto. Da quest’anno ci corre anche Giuliano Alesi, figlio dell’ex ferrista Jean. La coetanea olandese, invece, dopo un avvio a razzo – la Red Bull l’aveva ingaggiata nel suo junior team – farà un altro anno di gavetta nelle serie minori (l’ex Formula Renault) ma non ha smesso di coltivare il suo sogno: la F1. Contraria a gare femminili («Si abbasserebbe il livello») è conosciuta per il carattere tostissimo: «Se gareggio è per dimostrare che sono la migliore». Alla faccia dei pregiudizi.
Fra i talenti emergenti manca un’italiana (Simona De Silvestro impegnata in Formula E è svizzera): «La sto cercando...» replica Michela Cerruti.