Corriere della Sera, 31 marzo 2016
Le vere debolezze del Belgio
L’ex primo ministro belga di origini italiane Elio Di Rupo ha contestato dalle pagine del Corriere – a ragione – l’affermazione dello studioso francese Gilles Kepel, secondo il quale il Belgio sarebbe uno Stato fallito. Da parte mia, mi permetto di contestare anche le inesattezze recentemente espresse dai media italiani sulla realtà belga. Durante una trasmissione su La7, una giornalista italiana di Europarltv ha sostenuto che il Belgio è un Paese allo sfascio a causa dei problemi linguistici e di sentirsi più sicura in Sicilia che in Belgio. Un articolo di Huffington Post ha sottolineato che il Belgio è ormai uno Stato fallito e su Rai3 si è dovuto udire che lo stato di disintegrazione del Belgio è dovuto, oltre al problema linguistico, anche «alla contrapposizione tra cattolici e protestanti» (facendo probabilmente confusione con l’Irlanda del Nord). Certo, il Belgio non dispone di forze dell’ordine e magistrati del livello di preparazione di quelli italiani probabilmente formatisi in considerazione dell’esigenza della lotta a mafia, ’ndrangheta, camorra, e sacra corona unita e non ha ancora una legge sui pentiti. Ma prima di accanirsi contro un Paese che forse ha peccato di eccessiva apertura e tolleranza nei confronti degli immigrati, si dovrebbe riflettere sulla nostra realtà, perché assicuro che quando si parla all’estero del nostro splendido Paese si fa sempre più spesso accenno alla criminalità organizzata che al nostro patrimonio storico e culturale.
Pierpaolo Merolla
Kraainem (Belgio)
Caro Merolla,
Sulle credenziali liberali del Belgio non ho dubbi. Dagli intellettuali francesi che vi trovarono riparo durante le fasi più poliziesche e repressive del Secondo Impero agli esuli che fuggivano dai regimi autoritari fra le due grandi guerre mondiali del Novecento, sono molti gli europei che hanno con il Belgio un debito di riconoscenza. Ma le pecche della sua organizzazione statale sono un problema reale di cui conosciamo le cause. Da qualche decennio il Paese è teatro di una astiosa disputa tra valloni e fiamminghi. I primi hanno difeso tenacemente il primato che era stato garantito alle comunità francofone dopo la creazione dello Stato nel 1839. I secondi si considerano protagonisti del grande sviluppo economico del Paese dopo la Seconda guerra mondiale e chiedono che gli equilibri costituzionali riflettano fedelmente questa nuova realtà. Bruxelles, in questa tragicommedia dei fratelli separati, è un terzo attore, né interamente fiammingo, né interamente francofono e quindi titolare di uno statuto particolare. Per evitare una rottura che nessuno, apparentemente, desiderava, è stato creato un Belgio tricefalo in cui, ciascuno dei tre protagonisti ha le proprie istituzioni. Le Assemblee parlamentari sono sei e le forze di sicurezza altrettante.
Nella storia della spartizione del Paese vi sono stati episodi sconcertanti come quello della grande biblioteca storica della Università di Lovanio, divisa ciecamente con criteri esclusivamente chirurgici. Ma le ricadute più gravi sono quelle economiche e organizzative. Lo sdoppiamento delle istituzioni e degli addetti ha provocato, insieme a un vertiginoso aumento della spesa pubblica e del debito nazionale, una inevitabile sequenza di fraintendimenti, sovrapposizioni, gelosie, intoppi, conflitti di competenza. Si cerca di combattere il debito con il taglio della spessa pubblica. Ma certi tagli, in questo momento, rischiano di diminuire ulteriormente l’efficacia dello Stato. Forse gli ultimi avvenimenti costringeranno i belgi a rivedere interamente il loro sistema politico e amministrativo.