Il Sole 24 Ore, 31 marzo 2016
Tassi negativi, ma senza sconfinare nel ridicolo
Tassi negativi, sì. Ma senza sconfinare nel ridicolo, come per esempio “se intendere che la cedola (di un titolo di Stato a tasso variabile, ndr.) possa assumere valori negativi, e in tal caso come riscuotere il relativo controvalore da ogni singolo investitore”.
Questo quesito se l’è dovuto porre il Tesoro italiano, uno dei più grandi emittenti di titoli di Stato al mondo e, tra tutti i grandi debitori sovrani, quello che gestisce la più variegata gamma di strumenti di raccolta. L’Italia, caso raro, emette titoli di Stato a cedola variabile, un’eredità risalente ai tempi del debito rifinanziato dai Bot-people.
Il titolo di Stato a cedola variabile indicizzata al Bot (il vecchio Cct) oppure al tasso interbancario Euribor (il Ccteu come quello collocato ieri in asta) di questi tempi deve fare i conti con parametri di riferimento che viaggiano sotto zero. Il ridicolo non è ancora stato sfiorato perchè il Tesoro paga uno spread sopra i Bot (+0,30%) e sopra l’Euribor (+0,70%): un cuscinetto c’è. Tuttavia andava evitato il peggio, un giorno in cui al pagamento della cedola fosse il risparmiatore a dover pagare un tasso d’interesse al Tesoro e non viceversa. La circolare emanata dal Mef alla vigilia dell’asta dei Ccteu di ieri risolve il caso con un parere dell’Avvocatura generale dello Stato secondo la quale “si deve escludere che eventuali cedole virtualmente negative possano dar luogo a recuperi di interessi a carico dei possessori, oppure a decurtazioni a valere su cedole successive” o capitale. Cct e Ccteu dunque “in caso di tassi di rendimento negativi hanno cedola minima pari a zero”. Gli investitori, esteri e non, possono tirare un respiro di sollievo ma per il Tesoro questo “floor” implica in automatico la rinuncia al maggior risparmio sulla spesa per interessi che sarebbe dato da un tasso negativo di Bot o Euribor oltre lo spread.