Il Sole 24 Ore, 31 marzo 2016
Cattaneo è una vittoria per Bolloré
Da quando era segnato il destino di Marco Patuano? Almeno dal 19 gennaio, quando Arnaud de Puyfontaine – amministratore delegato di Vivendi, consigliere di Telecom e uomo di fiducia di Vincent Bolloré – nel corso della sua audizione al Senato aveva detto che in Telecom Italia «c’è un business model da reinventare», che «oggi le risorse non sono utilizzate al meglio» e che «negli ultimi dieci anni l’azienda ha perso lo slancio». Dichiarazioni che fanno il paio con quelle, come al solito molto succinte, rilasciate dallo stesso de Puyfontaine ieri all’uscita dal cda che ha nominato Flavio Cattaneo: «Si tratta di un’ottima notizia per il futuro di un gruppo solido come Telecom e anche per l’Italia».
D’altronde lo scorso 21 marzo, un anonimo informatore «vicino al gruppo francese» aveva detto al «Financial Times»: «Il piano strategico presentato da Patuano era totalmente disconnesso rispetto alle ambizioni di Vivendi per la società. Quando vuoi scrivere un nuovo capitolo hai bisogno di un autore». Sottinteso «nuovo».
Ecco quindi la scelta di cambiare la guida operativa della compagnia. Rapidamente, perché Bolloré non è uno che ama aspettare troppo tempo. E non ama neppure discutere a lungo con qualcuno che evidentemente ha un’opinione diversa dalla sua. Nel caso specifico sull’obiettivo di migliorare in fretta le performance della società (Telecom Italia è il gruppo europeo del settore con il più basso livello di ricavi per addetto), passando attraverso una drastica riduzione dei costi e del debito, un riesame degli investimenti e probabilmente l’uscita dal mercato brasiliano.
Niente di nuovo, peraltro. È quello che Bolloré ha sempre fatto: discontinuità per creare valore. Com’è accaduto con Havas, con la stessa Vivendi, con Canal+, con Universal Music.
A maggior ragione se l’investimento da oltre tre miliardi «in Telecom Italia costituisce un’opportunità per il gruppo di essere presente e svilupparsi su un mercato le cui prospettive di crescita sono significative e dove la richiesta per i contenuti di qualità è molto forte». E se c’è l’urgenza di costituire un soggetto sano e dinamico che faccia da perno centrale di un ben più ampio progetto che riguarda l’integrazione tra tlc, media e contenuti nel Sud Europa, a partire dai tre grandi mercati francese, italiano e spagnolo (coinvolgendo evidentemente Telefonica, di cui Vivendi ha una quota di poco inferiore all’1%). I concorrenti sono molto attivi e non c’è un minuto da perdere. È questo il messaggio che viene lanciato con l’uscita di Patuano e l’arrivo di Cattaneo.
Ecco perché è alquanto probabile che si vada in fretta anche sul fronte dell’accordo con Mediaset, almeno su Premium (di cui Telefonica ha l’11%).
Bolloré ha detto chiaramente che la situazione di Canal+ in Francia (dove perde soldi e abbonati) è inaccettabile. La pay tv investe e cresce in Africa, certo. Ma è fondamentale che realizzi al più presto sinergie su mercati dalle maggiori potenzialità in termini di redditività, quello italiano in testa.
Dal quartier generale di Vivendi ieri è arrivato il consueto e rituale «no comment», ma sulle strategie e sulle nuove tappe dell’operazione «Italia ed Europa del Sud» sembra che si saprà qualcosa di più nei prossimi giorni. Comunque prima dell’assemblea di Vivendi fissata per il 21 aprile.
In attesa che si chiariscano definitivamente anche altre partite: quella dell’accordo con BeIn Sports, che sembra suscitare qualche perplessità all’Antitrust; quella dell’assalto ai produttori di videogiochi Gameloft (che sta cercando di resistere all’Opa) e Ubisoft; quella, infine, del riassetto delle tlc francesi, con lo spezzatino di Bouygues Telecom tra Orange, Numericable-Sfr e Iliad-Free.
Marco Moussanet
Vincent Bolloré è di fatto il nuovo dominus assoluto di Telecom Italia di cui possiede il 24,9% del capitale, rastrellato con cura certosina. Ed è arrivato ormai a un soffio dall’Opa che con ogni probabilità si guarderà bene dal superare dato che non è necessario per governare il colosso telefonico italiano.
Ma quel 24,9% del capitale che ha un valore di Borsa di 3,2 miliardi non l’ha comprato direttamente con soldi suoi. L’acquisto è opera del colosso francese Vivendi il gruppo dei media da 26 miliardi di capitalizzazione di cui il finanziere bretone ha il 14,4%.
Il gioco delle scatole cinesi
La quota diretta di Monsieur Bolloré nel colosso transalpino vale oggi 3,7 miliardi. Una quota salita anch’essa dal 5% fino al 14,4% attuale con un esborso di 2,5 miliardi. Anche quelli messi su Vivendi non sono tutti soldi riconducibili al raider francese. Li ha comprati sì il gruppo Bolloré, la holding quotata a Parigi che raggruppa di fatto la miriade di attività industriali e agricole sparse per mezzo mondo dall’erede di una dinastia di imprenditori lunga più di un secolo. Ma della Bolloré, il finanziere di Quimper non ha l’intero capitale. Ne possiede solo il 64%, detenuto da un’altra delle sue scatole societarie, la Financiére de L’Odet. E non è finita qui. La risalita lungo l’ intricata piramide societaria costruita nel tempo prosegue. A sua volta la scatola della Financiére de L’Odet ha come primo azionista al 55% la Sofibol Sa, la società anonima che conduce in casa Bolloré. Come si vede il gioco delle scatole cinesi, o meglio delle matrioske contenute una nell’altra, è uno dei capolavori di architettura finanziaria del nuovo padrone di Telecom e del secondo azionista stabile di Mediobanca di cui ha l’8%. Almeno quattro livelli societari intercorrono tra la piccola Sofibol e la quota in Telecom Italia. Un modo per diluire il più possibile il proprio impiego diretto di capitale pur conquistando nei fatti il controllo. Basti pensare che in cima (in realtà non del tutto come vedremo) c’è una società la Sofibol, la più vicina riconducibile a Monsieur Bolloré e alla sua famiglia, che pur avendo capitale per soli 180 milioni grazie alle lunghe catene societarie possiede 3,3 miliardi di valore di mercato in Telecom Italia. Si dirà che il gioco delle scatole cinesi (che annacquano più sono lunghe l’apporto diretto di capitale) è prassi antica e diffusa, anche da noi, del capitalismo familiare. Ma in questo Bolloré pare aver superato tutti. Se lo può permettere senza dubbio.
Il valore delle partecipazioni
Il portafoglio partecipazioni è il suo biglietto da visita più evidente che lo pone nel Gotha della finanza europea. Quel portafoglio da Vivendi a Mediobanca a Socfin a Vallourec a Gaumont solo per citarne alcune valeva a fine 2015 4,9 miliardi. Oggi con il primo trimestre difficile delle Borse ha perso un po’, ma continua a superare l’intero valore del debito finanziario netto che è a quota 4,3 miliardi della Bolloré quotata, il cuore operativo del suo impero. Il finanziere francese in teoria potrebbe domani vendere tutti gli asset quotati e con il ricavato portare il debito finanziario dentro la Bolloré a zero. O come è assai più probabile continuare lo shopping finanziario grazie al miliardo e mezzo di cassa che c’è dentro la Bolloré e alla possibilità di indebitarsi per altri 2-3 miliardi senza pregiudicare gli equilibri patrimoniali della sua principale quotata. Che sprizza salute da tutti i pori. La Bolloré, il perno delle mille attività operative, fattura oltre 10,8 miliardi e capitalizza in Borsa l’intero fatturato. Ha un margine operativo lordo che supera 1,1 miliardi e un utile operativo al 7% dei ricavi. La salute non è episodica. Dal 2010 tra attività portuali in Africa e Far East; piantagioni; distribuzione di energia; media e comunicazione il gruppo ha aumentato i ricavi del 40%; ha raddoppiato l’utile operativo sui ricavi e soprattutto vanta un’invidiabile struttura patrimoniale. Il capitale netto della Bollorè vale oggi 9,9 miliardi quasi l’intero fatturato e il debito pur salito di 2,5 miliardi solo nel 2015 vale, con i suoi 4,3 miliardi, meno della metà del patrimonio. Non solo, ma la liquidità disponibile supera il miliardo e mezzo. Una fotografia eloquente della forza finanziaria dell’uomo nuovo di Telecom Italia. Che però alla sapienza con cui fa uso delle scatole cinesi aggiunge una straordinaria capacità nel costruire un impero sulle partecipazioni incrociate.
Le partecipazioni incrociate
La Sofibol ad esempio è la controllante con il 55% della Financieré de l’Odet. Ma la stessa controllata ha a sua volta una partecipazione incrociata con la stessa Sofibol di cui possiede il 48,9%. Non solo ma scorrendo il bilancio del forziere sopra il gruppo Bolloré quotato si apprende che la Financieré de l’Odet ha in pancia il 49% della Financieré V e di Omnium Bolloré finanziarie della famiglia che hanno a loro volta quote della Sofibol. Un intreccio formidabile, un ginepraio di partecipazioni interconnese dove Bolloré scambia azioni tra sé e sé. A quale valore? E con quale fine? Per ora un mistero.
Fabio Pavesi