la Repubblica, 31 marzo 2016
Ultime sul caso marò: si va verso una soluzione transitoria per riportare anche Girone in Italia
Sono due le frasi chiave registrate ieri durante l’udienza presso il tribunale arbitrale dell’Aia sul caso dei marò. Una della parte indiana e una della parte italiana. Sono la base sulla quale sarà forse possibile arrivare a una soluzione transitoria in attesa che l’arbitrato su dove tenere il processo ai fucilieri di marina arrivi a una decisione, tra due, tre o quattro anni: cioè fare in modo che anche Salvatore Girone, oggi in libertà provvisoria a Delhi, possa attendere il processo in patria (Massimiliano Latorre è già in Italia, in convalescenza). Il senso del dibattimento in corso, ieri e oggi, all’Aia è tutto qui: stabilire se c’è la volontà indiana di facilitare la «soluzione Girone» e quindi mettere la vicenda iniziata il 15 febbraio 2012 su binari nuovi.
La prima frase è contenuta nelle osservazioni scritte presentate dagli avvocati di Delhi per rispondere alla richiesta italiana di fare tornare in patria, in via provvisoria, Girone. Hanno definito la soluzione «inammissibile», ma non in via di principio: in quanto «c’è il rischio che Girone non ritorni in India nel caso venisse riconosciuta a Delhi la giurisdizione sul caso». La memoria aggiunge che «sarebbero necessarie assicurazioni in tal senso» da parte dell’Italia, che invece finora ne ha date di insufficienti.
Ed è su questo punto che il team di legali italiani, guidato da Sir Daniel Bethlehem, si è concentrato. Bethlehem ha riconosciuto «la necessità dell’India di avere garanzie» sul ritorno di Girone a Delhi nel caso il collegio arbitrale decidesse che il processo si deve tenere lì. E ha anzi invitato il tribunale dell’Aia a stabilire le condizioni sulla base delle quali il marò potrebbe rientrare in Italia: ad esempio l’obbligo «di consegnare il suo passaporto alle autorità italiane, di non viaggiare all’estero senza un permesso specifico e di riferire periodicamente alle autorità designate in Italia».
La decisione del collegio arbitrale sarà comunicata fra tre o quattro settimane. La novità di ieri sta nel fatto che il team legale italiano ha visto una possibile apertura indiana e sta cercando di lavorare su quella per togliere Girone dalla condizione di «ostaggio» nella quale si trova (definizione dell’agente del governo di Roma, Francesco Azzarello).
Oggi l’udienza continua: forse si capirà meglio fino a che punto gli avvocati dell’India saranno disposti a segnalare una disponibilità alla “soluzione Girone” davanti ai cinque giudici del collegio arbitrale.
***
È il momento dell’India, sulla scena internazionale. In economia, perché è l’unico dei grandi Paesi emergenti a crescere a un ritmo sostenuto. E sul piano diplomatico, con il primo ministro Narendra Modi che le sta disegnando un nuovo profilo, in stretta relazione con gli Stati Uniti. È con questa India che l’Italia sta facendo i conti nella gestione del caso dei due marò. Ed è proprio sull’obiettivo di Modi di non sprecare il momento favorevole che Roma può agire – combinando politica e tribunali – per spingere New Delhi verso un approccio più o meno condiviso alla vicenda di Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, accusati di avere ucciso due pescatori il 15 febbraio 2012.
Tra pochi giorni, il segretario alla Difesa americano Ashton Carter tornerà per l’ennesima volta in India per promuovere un’alleanza che ha pochi precedenti in Asia. Al Congresso di Washington è in discussione lo «US-India Defense Technology and Partnership Act» che, se approvato, metterebbe Delhi sullo stesso piano dei Paesi Nato e di Israele nella vendita di armi americane. Alti funzionari dell’Amministrazione Obama sono costantemente in India per facilitare scambio di armamenti e trasferimento di tecnologia. Commercio, ma soprattutto un nuovo ruolo che Washington vede per l’India non solo in funzione di limitazione dell’influenza cinese in Asia ma anche per strappare il vantaggio strategico che in passato Mosca ha conquistato a Delhi. Nei prossimi giorni, Modi sarà a Washington al vertice sulla sicurezza nucleare, al quale la Russia non ha voluto partecipare.
Cosa c’entra con i marò italiani? Sulla base della ricerca di questa relazione speciale, Barack Obama ha promesso a Modi l’ingresso nell’Mtcr, Missile Technology Control Regime: un’associazione che controlla il commercio mondiale di missili. Un club prestigioso per un Paese che vuole giocare un ruolo di potenza. L’ingresso, però, avviene per cooptazione e con l’unanimità dei membri: e l’Italia, che dell’Mtcr fa parte, lo scorso ottobre si è opposta ad aprire le porte a Delhi, citando a motivo proprio il caso di Girone e Latorre. Il prossimo 21 aprile si terrà una nuova sessione plenaria che per ora ha di nuovo all’ordine del giorno l’ingresso dell’India. Modi sa che, se non ci saranno passi avanti sul caso dei marò, l’Italia bloccherà ancora tutto. E la stessa cosa sanno a Washington.
È una zeppa che non farà saltare il processo di partnership tra Usa e India: è però uno stop molto fastidioso, anche perché potrebbe proiettarsi su altri tre club di rilievo internazionale nei quali Delhi vuole entrare: il Nuclear Suppliers Group (Nsg), i cui membri controllano la proliferazione delle armi nucleari; il Wassenaar Arrangement che si occupa delle esportazioni di armi convenzionali; l’Australia Group che monitora produzione e scambio di armi chimiche. Il blocco dell’Italia fa insomma pressioni sugli indiani (e sugli americani).
Ieri, Modi era a Bruxelles per rilanciare i summit Ue-India che non si tengono da quattro anni. L’anno scorso, il viaggio era saltato proprio sulla questione dei due fucilieri di marina italiani: la rappresentante europea per la politica estera Federica Mogherini è sensibile al caso, che ha seguito da ministro in Italia, e lo ha fatto pesare a livello europeo. Infatti, ieri, la questione è stata sollevata di fronte a Modi, presenti anche Donald Tusk e Jean-Claude Juncker: nel comunicato finale del summit si dice che le parti rispetteranno le decisioni dell’arbitrato in corso all’Aja.
In India, il viaggio europeo e americano di Modi è molto seguito dalla politica, dal business e dai media: se il primo ministro tornasse a Delhi dopo che gli sono state chiuse in faccia alcune porte a causa del contenzioso con Roma, la delusione sarebbe notevole. È in questa cornice che, tra tribunali e diplomazia, sta l’opportunità dell’Italia.