La Stampa, 30 marzo 2016
Valentino, a vent’anni dalla prima gara
Nel 1996 il Motomondiale iniziò in Malesia, a Shah Alam. Quel circuito non esiste più, è stato chiuso da tempo e al suo posto ora ci sono delle villette. Il 31 marzo di 20 anni fa rimane una data storica e non solo perché quel Gp vide la vittoria dei piloti italiani in tutte le classi: Perugini in 125, Biaggi in 250 e Cadalora in 500. Nella classe cadetta arrivò 6° un 17enne secco e alto con i capelli lunghi e biondi, conosciuto solo perché il padre era stato pilota alla fine degli Anni 70. Si chiamava Valentino Rossi, un nome che ora è un vero e proprio marchio. La sua moto era gialla e sul casco aveva un sole e una luna, due simboli che non l’hanno mai abbandonato, neppure ora che sono passati 331 Gp sotto le sue ruote (un record assoluto).
La festa sarà in pista
Il Dottore festeggerà l’anniversario – naturalmente – in pista, alla vigilia del Gp di Argentina. Nel box avrà al suo fianco una persona che ha potuto vedere il suo debutto, Luca Cadalora, diventato suo coach un po’ come accade nel tennis. Altri rivali di quei tempi saranno nel paddock, come Cecchinello o Martinez, passati dall’altra parte della barricata e oggi manager affermati, o Alzamora, lo scopritore del nemico numero 1 Marc Marquez.
Il marchio di fabbrica
Difficilmente Rossi penserà troppo al passato, alla sua carriera ricca di 9 titoli e 112 vittorie. La sua mente è ancora rivolta al futuro, al 10° Mondiale che gli è sfuggito di un soffio pochi mesi fa, alle prossime due stagioni per cui ha già un contratto firmato. Valentino non ci sta a vedersi come un dinosauro, ha deciso di continuare perché sa di potere ancora dire la sua, contro avversari che quando lui iniziò la sua avventura erano ancora alle prese con le gare delle minimoto nei migliori dei casi, oppure giocavano nel cortile di casa. Addirittura, molti dei piloti della sua Academy non erano neppure nati. Il suo futuro si chiama Termas de Rio Hondo, la pista su cui l’anno scorso vinse e festeggiò sul podio con la maglia di Maradona. Un’altra delle sue idee, una di quelle gag che nella sua carriera sono diventate un marchio di fabbrica. E chi ha voluto imitarlo ne è sempre uscito con le ossa rotte.
La rivalità con Marquez
L’Argentina è anche il Gp in cui nel 2015 è nata la rivalità con Marquez, il teatro del primo screzio. Il Dottore recuperò sullo spagnolo e lo passò, Marc nel tentativo di resistergli cadde nella trappole dell’italiano, toccandolo e finendo a terra. Un episodio che si legò al dito, insieme a quello di Assen pochi mesi dopo, quando Valentino lo batté tagliando l’ultima chicane. Il 2016 è appena iniziato, Rossi non è salito sul podio in un Gp del Qatar dominato dal compagno di squadra. Una delle peggiori concatenazioni di eventi possibili, da cancellare alla prima occasione. Il Dottore non corre per le statistiche, per aggiungere un numero a un altro numero, ma vive in un eterno presente in cui l’unica regola è continuare a essere il migliore. Altri dopo tanti anni avrebbero ceduto al meritato riposo, per lui sembra inconcepibile non vedersi con tuta e casco, e i tifosi ringraziano. Davanti ha un’altra sfida, un’altra gara da correre. Per fare i conti con il passato, c’è tempo.
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«Sembrava Schwantz, lo presi subito. Ma rischiò di farmi licenziare». Intervista a Pernat
Carlo Pernat oggi è il manager di Iannone (Ducati), ma negli Anni 90 era il responsabile dell’attività sportiva di Aprilia, la moto con cui Rossi debuttò nel Mondiale.
Come iniziò l’avventura di Valentino?
«Mi chiamò suo padre Graziano, che conoscevo dai tempi in cui era pilota, per propormelo. Andai a Misano e vidi questo ragazzino su una Cagiva 125 che faceva traiettorie incredibili, sembrava guidasse una bicicletta. Mi ricordò Kevin Schwantz, gli offrii una moto e 3 anni di contratto».
Cosa la colpì in quel Valentino ragazzo?
«La spontaneità e la curiosità, indice di intelligenza. Voleva sapere tutto di tutti. Era già guascone, si divertiva. Capii di avere davanti un pilota fortissimo, ma era impossibile intuire tutto quello che avrebbe fatto».
Non aveva difetti?
«Cadeva molto ed erano lotte per farlo guidare sul bagnato, ma ha subito capito i suoi punti deboli».
È cambiato molto in questi vent’anni?
«Direi piuttosto che è maturato, frequenta ancora gli stessi amici, ha lo stesso carattere. Ricordo bene che già allora, se aveva screzi con qualcuno, non perdonava e non voleva averci più niente a che fare».
Era difficile da gestire?
«Una volta mi fece quasi licenziare. Era un grande tifoso di Villeneuve, così nel 1997 organizzammo un incontro fra i due a Bologna: Rossi aveva vinto il titolo in 125 e Jacques in F1. Prima della premiazione c’era una cena, Valentino sgattaiolò fuori con gli amici e non tornò più. Non mi ha mai detto dove andò».
La sua storia continua…
«È giusto che continui finché si diverte e fa divertire. Valentino ha fatto la storia della Yamaha, logico che abbia rinnovato».