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 2016  marzo 30 Mercoledì calendario

Contro la dislessia funziona la scossa al cervello

Negli Stati Uniti è considerato una specie di elettrodomestico: è un dispositivo che si può comperare dappertutto e i ragazzi lo usano per migliorare le loro prestazioni quando giocano con la Playstation. In Italia (dove non è in commercio) i neuropsichiatri dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma hanno pensato di sperimentarlo per migliorare le capacità di lettura dei bambini dislessici. E ha funzionato: nessuno ci aveva mai pensato prima.
«I bambini dislessici leggono lentamente – spiega Stefano Vicari, direttore della Neuropsichiatria infantile dell’ospedale romano – e non acquisiscono quegli automatismi che permettono di riconoscere le parole, di decodificarle e di trasformarle in suoni».
Il problema sta in una iporeattività di certe aree cerebrali, poste nella zona posteriore del cervello, dove si forma l’immagine visiva delle parole.
L’idea dei ricercatori del Bambino Gesù (di Vicari e della dottoressa Deny Menghini, che hanno collaborato con la Fondazione Santa Lucia di Roma e hanno appena pubblicato il lavoro sulla rivista scientifica Restorative, Neurology and Neuroscience), è stata proprio quella di stimolare le aree cerebrali malfunzionanti dei dislessici con questi dispositivi portatili (alimentati con pile) capaci di creare una corrente molto debole (tipo quella prodotta da un mouse) attraverso due elettrodi applicati sulla testa.
Diciannove bambini e adolescenti sono stati sottoposti all’esperimento (divisi fra coloro che hanno avuto accesso al trattamento e quelli del gruppo placebo, che non lo hanno avuto, ndr): chi ha seguito il trattamento ha registrato un miglioramento della velocità e dell’accuratezza di lettura del 60 per cento.
Trovare nuove soluzioni al problema dislessia, che colpisce almeno il tre-quattro per cento dei bambini in età scolare, con importanti ripercussioni sull’apprendimento e sulla sfera sociale e psicologica, è una sfida importante.
Questa nuova soluzione potrebbe affiancarsi alle attuali terapie, la logopedia (che lavora sull’apprendimento automatico delle parole) e la psicologia, soprattutto cognitiva.
«Si tratta di uno studio preliminare – ha precisato Vicari – che va confermato da ricerche più ampie, ma può avere grandi implicazioni nella clinica e contribuire a una riduzione dei tempi e dei costi per questa patologia. E del disagio per le famiglie».
Aggiunge Giacomo Stella, fondatore dell’Associazione Italiana Dislessia (Aid) e psicologo all’Università di Modena e Reggio Emilia: «Le sperimentazioni di Vicari confermano anche nostre ricerche. La stimolazione cerebrale può essere utile al recupero. Ma come ogni terapia, non va applicata a tutti e vanno ancora studiati gli effetti a distanza».