la Repubblica, 30 marzo 2016
La ricetta perfetta di Trump, quella per il cataclisma
Addio a tutto. Ora sappiamo che Donald Trump vorrebbe fare a pezzi l’ordine mondiale post-1945: getterebbe nella spazzatura una Nato «obsoleta», vorrebbe un Giappone con la bomba atomica invece dell’attuale «accordo unilaterale» che lascia agli Stati Uniti la responsabilità della difesa del Paese asiatico, andrebbe a dire all’Arabia Saudita che «non sopravvivrebbe a lungo» senza la protezione americana e in generale farebbe capire a tutti che «non possiamo fare i poliziotti del pianeta».
E tanti saluti alla pax americana: era un cattivo affare, capite, e nell’universo di Trump gli affari sono tutto. La potenza americana e le guarnigioni a stelle e strisce ai quattro angoli del pianeta hanno garantito la sicurezza globale e sventato il pericolo di guerre nucleari per settant’anni, ma un «Paese povero» come sono diventati gli Stati Uniti non può più tenerle in piedi. Perché? Perché tutto il sistema del dopoguerra, insiste il miliardario, è una fregatura.
Che Trump possa diventare il prossimo presidente degli Stati Uniti non è più un’idea campata per aria. Gli americani non vogliono lo status quo, e Trump non è lo status quo. Si sta facendo strada verso la Casa Bianca a suon di chiacchiere e invettive, dipingendosi come l’uomo che per qualche strana alchimia renderà l’America di nuovo fiera di se stessa. Il mondo, che già è infiammabile come non è mai stato negli ultimi decenni, potrebbe diventare un posto molto più pericoloso.
Nell’intervista rilasciata a Maggie Haberman e a David Sanger (pubblicata ieri anche su Repubblica, ndr.), Trump ha detto: «Per tanti, tanti anni siamo stati offesi, presi in giro, fregati da gente più intelligente, più furba, più tosta. Eravamo il Paese più forte e grosso di tutti, ma non siamo stati guidati con intelligenza». L’America è stata «sistematicamente fregata da tutti, dalla Cina al Giappone, alla Corea del Sud, al Medio Oriente; molti Stati in Medio Oriente, per esempio abbiamo protetto l’Arabia Saudita senza che l’Arabia Saudita ci abbia rimborsato adeguatamente, fino all’ultimo centesimo». Il succo della politica estera di Trump è questo: «Non ci faremo più fregare», perché «non abbiamo più un soldo». Gli piacerebbe vedere gli Stati Uniti «cominciare davvero a diventare potenti», come intorno al 1900.
Molte delle cose che dice Trump sono semplicemente sbagliate. Ha dichiarato che lui era «tutto per l’Ucraina, ho amici che vivono in Ucraina»: ma non sembra che quegli amici gli abbiamo spiegato cosa succede laggiù. È indispettito perché Paesi come la Germania «non sembra si siano dati granché da fare» quando la Russia è diventata «molto aggressiva» (cioè ha annesso la Crimea e scatenato una guerra nell’Ucraina orientale), e così tutto l’onere è ricaduto sugli Stati Uniti.
In realtà, la Germania ha avuto un ruolo chiave nella scelta di imporre sanzioni alla Russia e, a differenza degli Stati Uniti, siede al tavolo delle trattative a Minsk, nel processo di pace per l’Ucraina. Non c’è da stupirsi che Trump sottovaluti il ruolo della Germania, considerando che è convinto che la nazione di gran lunga più potente d’Europa sia avviata verso la «distruzione» per opera di una «criminalità smisurata» (presumibilmente perpetrata da profughi musulmani non meglio specificati) e dell’«ingenuità, se non peggio» della cancelliera Angela Merkel (presumibilmente perché lascia entrare i succitati profughi siriani). Trump è convinto anche che gli Stati Uniti siano «obsoleti sulla cybersicurezza» (l’Iran la pensa diversamente) e che «il nostro Paese non abbia soldi» (in realtà qualche soldino ce l’ha).
Che Trump e la realtà non vadano molto d’accordo, è cosa già ben nota. Quello che non era così evidente, prima di queste interviste, è che un Trump presidente smantellerebbe integralmente l’impianto che ha garantito la stabilità nel dopoguerra (a meno, ovviamente, che non cambi idea, dimostrando una volta di più l’imprevedibilità di cui va tanto fiero).
Dire che la Nato è obsoleta (come Mosca va sostenendo dalla fine della guerra fredda, come scusa per mandare via gli Stati Uniti dall’Europa) nel momento in cui Vladimir Putin fa di tutto per affermare la potenza russa è una tesi pericolosamente sconsiderata: andate a chiederlo agli Stati baltici, che si sono salvati dalle aggressioni putiniane solo perché sono membri della Nato. La Nato rimane il pilastro della cooperazione transatlantica, che dalle rovine e dalle divisioni del 1945 ha saputo creare un’Europa unita e libera.
Anche consentire che il Giappone si doti della bomba atomica nel momento in cui la rapida ascesa della Cina e le sue mire sul Mar Cinese Orientale hanno acuito le tensioni fra i due Paesi significa giocare una partita ad alto rischio. La presenza degli Stati Uniti come potenza asiatica che compensa l’ascesa cinese e rassicura le nazioni più piccole dell’area è uno dei motivi per cui questa ascesa è avvenuta pacificamente.
Quanto alla disintegrazione dell’Arabia Saudita, che Trump sembra pronto ad accettare se i sauditi non si decidono a fare la loro parte, sul piano finanziario e militare, farebbe sembrare la guerra civile siriana un gioco d’infanzia, al confronto.
Su una cosa Trump ha ragione: il mondo del 2016 non è quello del 1945 o del 1990. Gli Stati Uniti sono relativamente più deboli, gli equilibri di potere si stanno spostando, ci sono priorità pressanti sul fronte interno. Ma la sua versione dell’«America First» – che, vale la pena notare, converge con la visione di tanti, a sinistra, convinti che gli Stati Uniti dovrebbero smetterla di fare i poliziotti del pianeta – sembra la ricetta perfetta per il cataclisma.
Una guerra in Estonia o nel Mar Cinese Orientale potrebbe rivelarsi un pessimo affare: una vera fregatura per l’umanità intera.