la Repubblica, 30 marzo 2016
Il grande fratello esiste davvero
Il grande Fratellino è fra noi. Dagli aeroporti agli asili infantili si moltiplicano le telecamere di sicurezza, perché la nostra è la società monitorata. Cosa faranno le maestre frustrate e perverse ai nostri pupi? Avremo trovato quella che mena, quella che insulta o quella che sputa? Persino al Michel Foucault di Sorvegliare e punire scapperebbe un sorrisetto davanti a questa idea, che sembra ispirata, più che dal suo, dal magistero di Aldo Biscardi: introdurre la moviola nelle aule.
Il bello è che nel caso specifico c’è persino un precedente storico. Verso la fine degli anni Novanta, agli albori delle web cam, fu impiantato un sistema di telecamere in un asilo americano. Sembrava una soluzione geniale: non era affatto una questione di diffidenza verso le educatrici, le mamme volevano soltanto vedere i figlioli giocare. Dopo un mese di ansie e angosce, le mamme stesse chiesero di disinstallare l’apparecchiatura: lo spettacolo del proprio figlio che piange per ragioni ignote, magari solo perché una compagna gli aveva sottratto una macchinina o un pastello, era insopportabile.
Già solo il motivo della lontananza è dunque poco saggio. Se l’educazione è sempre a due direzioni (eh già) i figli dovrebbero insegnare ai genitori la necessità e anche il piacere del distacco. Poche ore al giorno, a quell’età, e poi da più grandi le gite e magari Intercultura ed Erasmus. Non ci si immagina cosa si scatenerebbe se solo ci fosse ancora la leva obbligatoria per i maschi. Telecamerate in caserma?
Ma qui, nella storia raccontata ieri da Repubblica, c’è anche la questione della sorveglianza, cioè della diffidenza verso le istituzioni scolastiche in cui i bambini passano la loro giornata. Se andiamo a contare i casi di maltrattamenti vediamo che la loro incidenza statistica è davvero minima. Non ne dovrebbe succedere neppure uno, è ovvio: ma qui a sorvegliare sono direttrici e colleghe. Se una maestra esce di senno, l’asilo in cui lavora non sta funzionando e se ne dovrebbero avere altri segni. Oltretutto i bambini che vivono in situazioni tese, quando non addirittura violente, lo mostrano nel carattere e nei comportamenti che hanno a casa: fanno fatica a parlarne, ma un genitore attento dovrebbe essere in grado di intuire che c’è qualcosa che non va.
Perché allora si preferiscono le telecamere? Fascinazione tecnologica, volontà di controllo a distanza e quindi, gratta gratta, mancanza di profondità nelle relazioni, sia quelle interne alla famiglia sia quelle tra la famiglia e la scuola. Una madre o un padre che anziché fare un giretto da scuola di tanto in tanto e chiacchierare con gli altri genitori e con le educatrici preferisce l’incubo di collegarsi davanti a uno schermo aspettando il momento di una tirata d’orecchie o di un ceffone non dovrebbe vantarsene troppo.
In fondo a tutto si riscontra un livello di diffidenza e di sospetto nei confronti di qualsiasi istituzione, anche verso le più prossime a noi, che non fa onore ai nostri tempi. L’istinto di protezione produce una sorta di compito autoinflitto e smisurato, che può sfiorare le vette dell’isteria. Abbassare le tensioni anziché alzarle, rallentare anziché accelerare: quello è il vero dovere, e quello dovrebbe anche essere il vero istinto.